Testimonianza per il 40° anniversario dell’uccisione di Roberto Franceschi – 23 gennaio 2013
Quando da studenti del primo o del secondo anno si passa davanti all’Aula Franceschi, o quando si aspetta l’autobus alla fermata vicina a quella struttura geometrica in acciaio rosso ruggine che sembra una porta d’ingresso verso il vuoto, non si è a conoscenza di cosa rappresentino quel nome e quella struttura. E’ solo quando, con il tempo, ci si avventura per il ventre sotterraneo dell’universitá, e si incontrano per caso gli estratti dai giornali del passato, che narrano la storia dell’Università, è a quel punto che si capisce chi sia stato Roberto Franceschi e come la sua morte tragica sia servita ad accomunare le esperienze di giovani che hanno oggi i suoi stessi ideali, e che hanno la fortuna di poterli portare avanti. Non ho mai conosciuto Roberto Franceschi, é morto piú o meno quando sono nato. Penso che mi sarebbe stato simpatico, magari sarebbe diventato uno dei miei professori. Il premio di laurea ha creato un legame tra di noi, mi ha insignito di un onore che sento un poco immeritato perché io ho fatto cosí poco mentre Roberto ha avuto il coraggio degli ideali. Mi ha reso più consapevole della necessità di affermare l’esistenza della disuguaglianza di opportunità e del sottosviluppo, e piú determinato nella volontà di scoprire con il rigore proprio della ricerca le loro cause e loro conseguenze. Roberto mi ha donato una fiaccola fatta di coraggio, e cerco di proteggere la sua luce.
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