Si possono raccontare le storie degli ebrei costretti a esibirsi peri nazisti nei lager; si può fare una battuta al funerale del proprio padre per alleggerire la tensione; si può prendere in giro l’ansia da distanziamento brandendo un metro. Lo hanno fatto — e ne discutono — Federico Baccomo, lo scrittore che narra quei terribili cabaret nei campi di concentramento, e Claudio Bisio, l’attore di Zelig e di 50 film (compreso «Mediterraneo» premiato con l’Oscar). Perché la comicità è anche un modo per le vittime di elaborare il dolore, perché quando il mondo è nel caos un sorriso serve a prendere le distanze, perché chi ha sofferto può denunciare così l’assurdità vissuta. «Esorcizzare vuole dire andare avanti»
Si può ridere del dolore? Della tragedia? Del Covid (come hanno fatto i social in questi mesi)? Abbiamo riso delle guerre, delle carestie, dei migranti. Della miseria e persino dei lager. Una formidabile battuta di Woody Allen dice: ogni volta che ascolto Wagner sento l’impulso di invadere la Polonia. Dunque sì, si può. Talvolta si deve. Perché chi ride dubita, chi ride è democratico, chi ride partecipa.
È papà di Zelig e Smemoranda, inventore con Michele Mozzati del clamoroso successo di «Anche le formiche...» uscito giusto trent’anni fa. Dice Gino Vignali: «Viviamo in attesa»