Ora che ci penso, i miei romanzi sono storie di lockdown

«Branchie» era ambientato in parte nelle fogne di New Delhi, la scena madre di «Che la festa cominci» si svolge nelle catacombe di Villa Ada, in «Io non ho paura» (che compie vent’anni) c’è una prigione, in «Io e te» una cantina, in «Anna» (di cui in primavera uscirà la serie tv) una claustrofobica pandemia. Ne parliamo con l’autore, Niccolò Ammaniti 

La parola è una liturgia Perciò scrivere ci ha salvate

Ilaria Tuti la scorsa estate ha perso la nipotina di 8 anni (ne avrebbe compiuti 9 due settimane dopo). Quel dolore irreparabile è diventato un romanzo, scritto in due mesi anche come un atto terapeutico. La francese Maylis de Kerangal ha pubblicato sei anni fa in Italia «Riparare i viventi», storia del cuore di un giovane morto in un incidente che continua a battere dopo l’espianto. «La letteratura ci consente di rimettere ordine e di rimetterci in ordine. Leggere è un modo per condividere il lutto»