Studio e impegno sociale
Meris Antomelli, insegnante di storia e filosofia al Liceo scientifico “V. Veneto” di Milano, ricorda Roberto.
Dopo che Roberto morì, una ragazza che era alla Bocconi la sera che fu ferito a morte raccontò a sua madre di averlo visto per l’ultima volta, quella sera, che sistemava a un tavolo delle dispense universitarie mentre aspettava che incominciasse l’assemblea.
L’immagine di Roberto, intento a quel lavoro, in attesa di un incontro operai studenti, me lo fanno riconoscere meglio di altre, che mi sono rimaste di una annuale frequentazione. Nel 1970, al Vittorio Veneto, mi era stato affidato l’insegnamento di storia e filosofia nel corso C, dove Roberto, militante del Movimento Studentesco, frequentava la quinta, una classe numerosa e piena di tensioni.
Antiautoritarismo, democrazia nella scuola, i temi del ’68 erano sempre vivi. Vi si erano congiunti l’esigenza di aprire la scuola alla società, e l’impegno di contribuire alla lotta contro lo sfruttamento operaio: erano ideali vivamente sentiti, non da tutti però, e comunque non da tutti allo stesso modo, e in un clima, dopo il ’69 e la strage di Milano, di tensione e di scontro politico radicalizzato.
Roberto era politicamente molto impegnato, e in particolare riteneva l’apertura della scuola alla società, e la lotta contro lo sfruttamento e l’oppressione non come esigenze tra le altre, ma fondamentali: le considerava capaci di dare concretezza ai suoi ideali di democrazia e giustizia, e coerenza alla sua vita.
Non accettava perciò quelle forme di contestazione della scuola che si traducevano nel rifiuto dello studio a vantaggio di una militanza politica che nella scuola vedeva soltanto uno dei suoi luoghi d’azione.
Roberto aveva con la cultura un rapporto intenso, sorretto dalla convinzione che fosse indispensabile a sé, e alla causa di democrazia e giustizia che aveva scelto. Ma una tale serietà d’impegno non comportava alcuna economia nel rapporto con gli altri: verso i compagni di classe, sui quali aveva un indubbio ascendente, non si atteggiava, per temperamento e convinzione, a leader; e, se non considerava le sue idee un fatto privato, intendeva discuterle e sostenerle in un rapporto aperto.
Riteneva giusto e urgente prendere posizione contro l’ineguaglianza e l’oppressione, ma l’indottrinamento doveva parergli una scorciatoia sterile e pericolosa.
Stima e simpatia non equivalevano per lui a identità di opinioni, e anche nel rapporto di impegnative discussioni tra studenti e insegnanti, tipico di quegli anni, Roberto portava una nota di intensità e personale interesse. Era un ragazzo fermo nei suoi propositi, intelligente e esigente. Ma anche un ragazzo cordiale, allegro e sereno: un ragazzo molto stimato, ma anche molto amato.