Se le piattaforme non discriminano in base alla nazionalità, perché i lavoratori stranieri guadagnano meno?

Grazie ai fondi di ricerca Roberto Franceschi, Jack Melbourne e Lorenzo Spadavecchia hanno esaminato i possibili fattori alla base delle differenze di guadagno tra rider italiani e stranieri. I risultati sottolineano la necessità di politiche in grado di affrontare gli ostacoli all’integrazione nel mercato del lavoro e nella società di gruppi marginalizzati come i lavoratori non nativi

Il progetto di cui parla questo articolo è stato finanziato con i fondi di ricerca Roberto Franceschi per laureandi magistrali e dottorandi. Il nuovo bando di assegnazione dei fondi di ricerca è disponibile a questa pagina e scade il 15 dicembre 2023.
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Motivazione

La proliferazione di forme di lavoro self-employed negli ultimi due decenni ha portato a un cambiamento strutturale dei mercati del lavoro in tutto il mondo. Una di queste forme che si è distinta in particolare è il gig-work, con stime che indicano che il lavoro solo self-employed rappresenta tra il 4 e il 22% dell’occupazione totale nei Paesi dell’area OCSE (Boeri et al., 2020). Si considerano lavoratori solo self-employed i lavoratori indipendenti che non impiegano altre persone, ad esempio i gig-worker come i fattorini per consegne on-demand o i tassisti.
Tra il 2000 e il 2017, la quota di lavoratori solo self-employed tra i lavoratori self-employed è aumentata dal 47,06 al 72,34% (Boeri et al., 2020). Un settore che ha contribuito all’emergere di questo ambito del mercato del lavoro è quello dei servizi di consegne su richiesta, forniti da multinazionali come Glovo, Deliveroo e UBEReats, che generano milioni di ricavi all’anno.
Sebbene sia difficile fornire cifre precise sul numero totale di rider che collaborano con queste applicazioni come lavoratori autonomi, tutte le stime indicano una significativa crescita di questo settore negli ultimi tempi. Ad esempio, Assodelivery ha affermato che il numero di rider è aumentato del 16% nel 2020 rispetto al 20191; giornali italiani hanno sostenuto invece che il numero di rider sia raddoppiato nel corso del 20202; infine, la Procura di Milano, in un’indagine riguardante le aziende di food delivery in Italia, ha affermato che il numero di rider è passato da circa 11.000 nel 2019 a 60.000 nel 20203. Sebbene le piattaforme di servizi on-demand siano state studiate negli Stati Uniti (Garin et al., 2022; Cook et al., 2021; Chen et al., 2019), sono state condotte poche ricerche nel contesto europeo, dove il segmento di popolazione di interesse è diverso e più spiccatamente straniero. Questa è la base del nostro progetto di ricerca, generosamente sostenuto dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus.

Il contesto

Nella nostra ricerca collaboriamo con una multinazionale leader di mercato nel settore delle consegne on-demand che opera in Europa e che impiega lavoratori per portare a termine le consegne. Dal lancio dell’azienda nel mercato italiano nel 2017, la piattaforma si è espansa in 154 città. Da quando ha iniziato a operare in Veneto all’inizio del 2018, la piattaforma si è espansa in 30 città e ha aumentato le vendite da 499 consegne nel primo trimestre dell’anno a 186.665 nel terzo trimestre del 2023. Questo rappresenta un tasso di crescita medio del 28% a trimestre.

Chi lavora nella gig economy?

Per iniziare a comprendere la gig economy, esploriamo innanzitutto le caratteristiche di coloro che operano come gig-rider rispetto alla popolazione generale. I rider sono generalmente più giovani: il 91,6% di loro ha tra i 15 e i 30 anni. Il 22,7% dei rider ha una storia di lavoro stagionale rispetto al 9,1% della popolazione generale. Anche il lavoro part-time è più comune tra i rider, con il 71,0% che ha svolto un lavoro part-time rispetto al 38,2% della popolazione generale. L’89,4% dei rider è di sesso maschile rispetto al 55,4% della popolazione generale e hanno una maggiore probabilità di avere un diploma come livello di istruzione più alto: il 36,3% ha un diploma rispetto al 27,2% della popolazione generale. La cosa più sorprendente, tuttavia, è che il 34,2% dei rider proviene da un Paese asiatico, rispetto al 4,6% della popolazione generale. Questo significa naturalmente che c’è una quota minore di italiani, con meno del 50% che proviene dall’Italia, mentre oltre il 75% della popolazione veneta è italiana.

Lavoratori italiani e stranieri

Dato che i rider stranieri costituiscono una quota sproporzionata della forza lavoro dei rider, eravamo curiosi di capire se le loro prestazioni fossero diverse. Sebbene i guadagni siano determinati in funzione della distanza percorsa, del tempo di attesa e di condizioni particolari per le festività, il lavoro notturno o in condizioni meteorologiche avverse, nei mercati del lavoro autonomo sono stati documentati differenziali di guadagno tra vari gruppi. Ad esempio, Cook et al. (2021) hanno riscontrato un gap retributivo di genere del 7% per gli autisti di UBER negli Stati Uniti e Cook et al. (2019) hanno stimato che i conducenti di età superiore ai 60 anni guadagnano quasi il 10% in meno all’ora rispetto ai conducenti di 30 anni, l’età in cui si registra il picco di guadagno orario. Questi differenziali sono stati determinati principalmente dalle preferenze rispetto al lavoro in certe zone geografiche in determinate fasce orarie, dalla velocità di guida e dal rendimento dell’esperienza. Esploriamo ciò riguardo la dimensione dei rider italiani rispetto a quelli stranieri.
Nonostante il guadagno per consegna sia predeterminato da una formula fissa, i fattorini nati in Italia guadagnano significativamente di più all’ora rispetto a quelli nati all’estero. Questo divario di guadagno è illustrato nella Figura 1, considerando tutti i mezzi di trasporto e nella Figura 2 isolando solo i fattorini in bicicletta.

Figura 1: Guadagno/ora (tutti i rider)

Figura 2: Guadagno/ora (rider in bicicletta)

Quantificando questi differenziali di guadagno, i rider nati in Italia guadagnano il 5,6% in più all’ora per una consegna rispetto ai rider stranieri e i risultati persistono anche quando si considerano solo i rider che utilizzano biciclette e motocicli. Se si considerano i turni, il differenziale di guadagno è ancora più netto: i rider nati in Italia guadagnano quasi il 10% in più all’ora rispetto a quelli nati all’estero. L’entità del differenziale di guadagno se si considerano solo i ciclisti e i motociclisti è del 4,9% e del 9,5% rispettivamente.
Abbiamo poi esplorato le caratteristiche delle consegne effettuate dai rider italiani per vedere se ci fossero differenze evidenti rispetto alle consegne effettuate dagli stranieri. Gli italiani percorrono in media distanze maggiori sia considerando tutti i mezzi di trasporto sia solo i ciclisti, il che corrisponde a una maggiore durata delle consegne. Non c’è differenza nella probabilità che un rider lavori in caso di maltempo, ma gli italiani aspettano in media di più per ricevere una consegna dal partner. I ciclisti nati all’estero guidano a velocità più elevate rispetto alle loro controparti italiane ma, in media, le mance rispetto a tutti i metodi di trasporto sono più grandi per quest’ultimo gruppo.
Per quanto riguarda le caratteristiche dei turni, i turni dei ciclisti nati in Italia sono composti in media da un minor numero di consegne, ma le distanze medie sono più lunghe a causa delle velocità medie più elevate. I non italiani hanno anche trascorso più tempo in attesa di ricevere le consegne dai ristoranti, ossia aspettano il 2,4% dei loro turni in attesa di una consegna. Questi tempi di attesa medi più elevati possono essere una conseguenza del fatto che lavorano di più nei giorni feriali e durante i turni di pranzo e i turni pomeridiani rispetto ai rider nati in Italia.

Scomposizione

Consideriamo poi diversi fattori come l’ubicazione, l’ora della settimana, il numero di consegne e la velocità per capire in che misura ciascuno di essi spieghi il divario di di guadagno. L’intuizione è che, una volta tenuto conto delle differenze in questi fattori, non dovrebbe esserci un differenziale di guadagno. La geolocalizzazione e la velocità sono due fattori fattori principali, che spiegano rispettivamente circa il 26% e il 14% di questa differenza. Il periodo della settimana spiega il 3,5%.
Se si considerano tutti questi fattori, la differenza di guadagno si riduce a meno dell’1%.

Esaminare la distanza e la velocità

Esplorando l’impatto della geolocalizzazione e della velocità, osserviamo una curva di apprendimento iniziale pronunciata, particolarmente più ripida per gli individui non italiani rispetto agli italiani. In particolare, i rider con oltre 2.500 consegne guadagnano circa 3 euro (25%) in più all’ora rispetto a quelli che non superano le 1.000 consegne. Questa disparità potrebbe derivare dal fatto che i rider più esperti sono più efficienti o dalla loro tendenza a lavorare più a lungo sulla piattaforma, il che si traduce in un aumento dei guadagni del 15%.
In particolare, vi sono notevoli differenze nel tasso di crescita dei guadagni. I rider italiani guadagnano in media 13 euro all’ora dopo aver completato 250 consegne, dopodiché i loro guadagni si stabilizzano. Al contrario, i non italiani hanno bisogno di oltre 1.000 consegne per raggiungere un guadagno medio di 13 euro l’ora.

Conclusioni

La ricerca sostenuta dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus ci ha permesso di dare un primo sguardo al panorama del gig-work in Europa. I nostri risultati rivelano un profilo demografico distinto dei fattorini che lavorano in gig-work, che si discosta significativamente da quello della popolazione generale, in particolare per l’alta percentuale di rider stranieri.
La nostra analisi indica che questi rider, in media, guadagnano meno delle loro controparti italiane. Questa disparità di guadagno è attribuita principalmente a una curva di apprendimento più ripida affrontata da questi individui. Fattori come le barriere linguistiche, la scarsa dimestichezza con la città e le sfumature dell’ambiente del gig-work contribuiscono a questa sfida. L’emarginazione economica e sociale di questi individui è un aspetto cruciale e fornisce una chiara indicazione delle difficoltà nell’integrazione condivise da questi gruppi.
I risultati di questo studio hanno implicazioni significative per lo sviluppo di politiche. Sottolineano la necessità di strategie su misura per affrontare le sfide particolari sperimentate dai gruppi marginalizzati, in particolare dai lavoratori non nativi che possono avere difficoltà con la lingua e l’integrazione nel mercato del lavoro e, più in generale, nella società.
In prospettiva, la nostra ricerca mira ad approfondire il ruolo della gig economy nelle transizioni del mercato del lavoro, con un’attenzione specifica a questi gruppi marginalizzati. Comprendere il loro percorso e gli ostacoli che devono affrontare sarà cruciale per sviluppare politiche del lavoro più inclusive ed eque, favorendo una gig economy che vada a beneficio di tutti i partecipanti.

1. Link all’articolo
2. Link all’articolo
3 Agenzia Giornalistica italiana

Riferimenti bibliografici

Boeri, Tito, Giulia Giupponi, Alan B Krueger, and Stephen Machin, “Solo Self-Employment and Alternative Work Arrangements: A Cross-Country Perspective on the Changing Composition of Jobs,” Journal of Economic Perspectives, 2020, 34 (1), 170–195.

Chen, M Keith, Judith A Chevalier, Peter E Rossi, and Emily Oehlsen, “The Value of Flexible
Work: Evidence from Uber Drivers,” The journal of political economy, December 2019, 127 (6), 2735–2794.

Cook, Cody, Rebecca Diamond, and Paul Oyer, “Older Workers and the Gig Economy,” AEA Papers and Proceedings, May 2019, 109, 372–376.

Cook, Cody, Jonathan Hall, John A List, and Paul Oyer, “The Gender Earnings Gap in the Gig Economy: Evidence from over a Million Rideshare Drivers,” The Review of Economic Studies, 2021.

Garin, Andrew, Emilie Jackson, and Dmitri Koustas, “Is Gig Work Changing the Labor Market? Key Lessons from Tax Data,” National Tax Journal, December 2022, 75 (4), 791–816.

Gelbach, Jonah B, “When Do Covariates Matter? And Which Ones, and How Much?,” Journal of Labor Economics, April 2016, 34 (2), 509–543.

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