Con la riforma costituzionale approvata in via definitiva a inizio febbraio – la terza dall’inizio della legislatura, dopo quella che diminuito il numero dei parlamentari e quella che ha ridotto da 25 a 18 anni l’età per essere eletti al Senato – il Parlamento ha modificato gli articoli 9 e 41 della Costituzione, riconoscendo la tutela dell’ambiente quale principio fondamentale.
In particolare, l’intervento ha comportato, per la prima volta nella storia, la revisione di una delle disposizioni sui “principi fondamentali”, mediante l’inserimento all’articolo 9 – secondo cui la Repubblica promuove cultura e ricerca e tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione – di un terzo comma, che sancisce l’impegno a salvaguardare «l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni», aggiungendo che spetta alla legge dello Stato disciplinare «i modi e le forme di tutela degli animali».
Coerentemente, è stato modificato anche l’articolo 41 della Costituzione, ossia la norma che riconosce la libertà d’impresa e ne individua i limiti, specificando che questa non può svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente (oltre che con gli altri valori già presenti: utilità sociale, sicurezza, libertà e dignità umana) e che, con legge, l’attività economica può essere “indirizzata” e “coordinata” a fini «ambientali» (oltre che a «fini sociali», come già previsto).
Dal punto di vista del procedimento, la riforma è significativa, perché è stata approvata con una maggioranza molto ampia, superiore ai due terzi dei componenti di ciascuna Camera (vi è stata, a ben vedere, quasi l’unanimità di consensi), segno dell’attenzione che tutte le principali forze politiche hanno inteso dimostrare per il “bene ambiente”, la cui protezione – soprattutto declinata nella ricerca di nuovi modelli di sviluppo “sostenibile” – è uno dei grandi temi che stanno caratterizzando questo XXI secolo (basti pensare, tra gli altri, all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, all’Accordo internazionale di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, al movimento giovanile Fridays for Future ispirato da Greta Thunberg).
Dal punto di vista del contenuto, la revisione risulta innovativa sotto almeno tre profili.
Innanzitutto, per l’esplicito riconoscimento di un nuovo “valore costituzionale” e per la sua articolazione in “ambiente” ed “ecosistema” (che, secondo la Corte costituzionale, si distinguono perché il primo riguarda l’habitat degli esseri umani, mentre il secondo attiene alla conservazione della natura come valore in sé), nonché in “biodiversità” (che, volendo seguire la definizione data dalla Convenzione internazionale di Rio del 1992, consiste nella variabilità degli organismi viventi, sia tra specie diverse sia nell’ambito della stessa specie, e dei complessi ecologici di cui fanno parte).
È possibile che, soprattutto in un primo momento, di questa riforma si cerchi di dare una lettura “riduttiva”, volta a intenderla quale mera “codificazione” di principi già esistenti – anche alla luce del fatto che, in effetti, tanto la Corte costituzionale quanto la Corte di cassazione avevano già affermato l’esistenza del bene “ambiente”, ravvisandone il fondamento in un complesso di norme costituzionali (tra cui l’articolo 9, che protegge il paesaggio, e l’art. 32, che sancisce il diritto alla salute).
Tuttavia, è difficile pensare che una modifica dei principi fondamentali rimanga senza conseguenze ed è piuttosto probabile che queste si produrranno soprattutto là dove, negli ultimi decenni, il confronto tra istanze diverse si è rivelato più problematico e conflittuale, ossia sul terreno dei limiti alle attività economiche inquinanti: da tempo, infatti, legislatore, amministrazioni e magistratura, ognuno per la propria parte, sono chiamati a mediare tra le esigenze della produzione, quelle dei lavoratori (interessati a mantenere il proprio impiego, ma anche a operare senza rischi per la salute) e quelle volte a preservare la “vivibilità” dell’ambiente; si può quindi ipotizzare che, in queste operazioni di “bilanciamento”, queste ultime istanze siano destinate ad acquisire maggior peso, con una più larga applicazione del principio di precauzione, il quale può giustificare l’adozione di misure di protezione – soprattutto dell’ambiente e della salute, non a caso i due nuovi limiti posti dalla riforma alla libertà d’impresa – anche laddove permangano incertezze scientifiche sull’esistenza o la portata dei rischi di una determinata attività.
Seconda innovazione apportata dalla riforma è l’attribuzione alla legge statale del compito di disciplinare la tutela degli animali.
A prima vista, si tratta di una disposizione di tipo “organizzativo”, che riguarda i rapporti tra Stato e Regioni (e, da questo punto di vista, l’intervento appare disarmonico, perché operato sull’articolo 9 invece che sull’articolo 117, che regola in via generale il riparto di competenze legislative tra Enti diversi) e sarà interessante verificare se verrà interpretata nel senso di comportare una riserva assoluta allo Stato di questa materia – così precludendo un intervento delle Regioni e potenzialmente riducendo, paradossalmente, l’attuale tutela – oppure se verrà confermato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui, se spetta alla legge statale il compito di fissare il livello minimo e inderogabile di tutela, questo ben può essere poi elevato dalle Regioni; in questa seconda ipotesi, l’elemento di novità potrà essere ravvisato dall’esplicito riconoscimento degli animali quali oggetto di protezione al più alto livello del sistema giuridico, con conseguenze simili – e coerenti – a quelle già prefigurate rispetto alla tutela dell’ambiente.
Infine, particolarmente rilevante è il riferimento agli interessi delle future generazioni: anche in questo caso, si tratta di esigenze che la Corte costituzionale aveva già mostrato di considerare (parlando addirittura di “diritti” dei posteri, non solo in materia di ambiente, ma anche rispetto all’imperativo di garantire la sostenibilità del debito pubblico e del sistema previdenziale), con orientamenti che trovano ora ulteriore legittimazione e che richiederanno un impegno, soprattutto da parte del legislatore (ma anche della Corte in sede di controllo), volto a calcolare le future ricadute delle scelte che vengono operate nel presente.
Naturalmente, come per ogni norma costituzionale, è sul terreno dell’attuazione che bisognerà poi misurarne l’impatto sulla vita dei cittadini.
Da questo punto di vista, a fronte di opinioni che sminuiscono la portata della riforma (a volte manifestando delusione), si deve ribadire che l’espresso riconoscimento di “valori costituzionali” non è mai privo di conseguenze, perché questi, una volta esplicitati, hanno l’attitudine a orientare tutte le articolazioni della Repubblica nell’esercizio delle rispettive funzioni, “ricadendo” così sulle situazioni concrete.
Sotto questo profilo, una responsabilità particolare spetta proprio ai giovani, la cui vita si proietta nel “futuro” e che per questo sono i più “interessati” a vigilare ed esortare affinché la riforma non resti lettera morta e i pubblici poteri agiscano in modo da conservare il patrimonio ambientale anche per loro e i loro figli.
“Una lettura guidata della Carta costituzionale”, a cura di Alessandro Basilico con la collaborazione di Gherardo Colombo, è un libro progettato e pubblicato dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus per le scuole e la cittadinanza.
Scopri come richiedere il testo.
Leggi in anteprima il commento ai primi 12 articoli della Carta costituzionale: art. 1 | art. 2 | art. 3 | art. 4 | art. 5 | art. 6 | art. 7 | art. 8 | art. 9 | art. 10 | art. 11 | art. 12.
Scrivi un commento