Perché abbiamo voluto ricordare questo 23 gennaio con la pubblicazione “Dei diritti della donna e della cittadina”?
Perché siamo alla soglia di un nuovo millennio che dovrebbe vedere uno sforzo generoso da parte di tutti per superare i limiti di una società in cui sono, di fatto, tollerate ancora ineguaglianze, discriminazioni, pregiudizi, ingiustizie sociali, politiche, economiche e culturali..
Continuiamo a parlare e a scrivere, nelle sedi ufficiali e non, dei diritti della donna in quanto persona, cittadina…andiamo ad analizzare e a ricercare la situazione di vita delle donne in altri continenti, in paesi lontani, non solo geograficamente, ma soprattutto per tradizione, religione, mentalità, costumi; ci meravigliamo e ci indigniamo di fronte a certe condizioni di povertà femminile, di soprusi, di mercificazione, di schiavitù… e poi?
Alcune leggi vengono modificate, altre nuove in favore della dignità della donna si aggiungono a quelle esistenti, le donne sono presenti in percentuali sempre maggiori nei parlamenti, nella magistratura, in posti di responsabilità eppure continuiamo a constatare come la povertà femminile sia aumentata, la discriminazione sia tuttora fortissima, i concetti e i modelli di vita siano rimasti ancorati a vecchi schemi.
Dobbiamo con molta umiltà ripercorrere le strade della nostra vita e capire dove abbiamo sbagliato come individui e come società civile.
Scorrendo le statistiche mi accorgo che alta è la presenza femminile nella docenza scolastica in Italia (più del 90% nella scuola primaria, 60% nella secondaria inferiore e il 52% nella secondaria superiore).
Tutto questo mi porta ad una riflessione. Se la presenza femminile in una istituzione così importante come la scuola, dove si educano e si formano le nuove generazioni, è così rilevante perché non siamo riuscite ad eliminare, almeno in parte, pregiudizi, consuetudini, ruoli stereotipati?
Perché continuiamo a perpetuare, nostro malgrado, quel modello di donna mutuato dalla cultura maschile che abbiamo ereditato e su cui ci hanno forgiato?
Certamente i condizionamenti, subdoli e continui, a cui siamo sottoposte nella quotidianità, non sempre ci hanno permesso di avvertire il pericolo di questa ripetitività mentre la vita stressante di lavoro e la cura della famiglia ci hanno tolto il tempo del ripensamento e della propositività.
Credo sia necessario analizzare i motivi più o meno palesi che ci hanno condotto a fallire, almeno parzialmente, in un campo così importante come quello dell’educazione e della formazione dei giovani.
Se mi interrogo devo dire onestamente che ho avuto due pesi e due misure nei confronti dei miei figli perché uno maschio e l’altra femmina.
Certe libertà, giuste libertà, le ho concesse assai prima al figlio maschio rispetto alla figlia femmina. Per timore… perché non era opportuno…per eccessivo senso di protezione…oppure perché proiettavo inconsciamente lo stesso tipo di educazione ricevuta?
Dopo aver rivisto molti dei nostri atteggiamenti e riflettuto sulle cause dei nostri condizionamenti sarà necessario chiederci: quali modelli di comportamento vogliamo proporre alle nostre figlie e alle nostre allieve?
Sapremo trovare modelli capaci di stimolare il bisogno di cambiamenti radicali, di presa di coscienza della propria specificità sino ad interiorizzare il concetto di donna persona unitamente alla fiducia di potersi affermare come soggetto storico in tutti i campi del vivere umano?
È un nodo cruciale non facile da risolvere per tutte le difficoltà determinate da consuetudini di vita, da pregiudizi, da ruoli predeterminati e da un ambiente spesso ostile nei confronti di quei cambiamenti che vanno a sovvertire tradizioni, costumi, mentalità sedimentate lungo il corso del tempo .
Basti pensare come sono concepiti i giocattoli, i cartoni animati, le trasmissioni per ragazzi, i libri, gli abiti… e tutto ciò che ruota attorno al mondo infantile e adolescenziale, per comprendere che essi sono studiati e voluti affinché si perpetui il modello di comportamento socio-culturale che vede la contrapposizione maschio femmina e il predominio del primo sulla seconda.
Non è sufficiente firmare protocolli d’intesa se non esiste la volontà politica di investire risorse umane ed economiche nella scuola, permettendole di sperimentare nuove strategie educative, svincolate dai ruoli tradizionali, che abbiano a favorire approcci metodologici per nuovi modelli formativi.
Ma la volontà politica non è determinante se non esiste la convinzione e la volontà da parte di chi, coinvolto nel processo educativo delle nuove generazioni, ha la possibilità di riconsiderare e determinare un nuovo percorso nella formazione delle bambine e dei bambini in maniera che il loro comportamento, le loro convinzioni, il modo di rapportarsi tra di loro risponda, almeno in parte, a quei principi così solennemente proclamati nei parlamenti nazionali e nelle sedi internazionali “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti e ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza della propria persona”.
Ritengo che questa sarà la più rivoluzionaria sfida per il prossimo futuro: eliminare il concetto di superiorità o di inferiorità dell’uno o dell’altro sesso, i ruoli stereotipati, preparare le giovani donne ad assumere responsabilità decisionali in campo politico, economico, sociale e culturale senza rinunciare al sapere della loro differenza di genere, anzi portandola nelle sedi istituzionali..
Mi auguro che questa piccola pubblicazione, entrando nelle classi, possa avere la capacità di suscitare occasioni di dialogo e di confronto, incuriosire le allieve e gli allievi sulla storia e sui saperi innovativi delle donne, aiutare a praticare la cultura della pace, della tolleranza e della solidarietà unitamente al rispetto per chi si differenzia da noi per razza, cultura, credenze religiose.
Solo così avrò dato nuovamente voce alle idee di Roberto e concretezza alla sua persa fisicità.
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