Nella legislatura che sta per concludersi sono state approvate due riforme, le leggi costituzionali n. 1 del 2020 e n. 1 del 2021, che hanno inciso sulla composizione e sulle modalità di elezione del Parlamento e che troveranno applicazione proprio a partire dalle elezioni “politiche” del prossimo 25 settembre.
In particolare, la legge costituzionale n. 1 del 2020, confermata dal referendum popolare del 20 e 21 settembre 2020, ha modificato gli articoli 56 e 57 della Costituzione disponendo la riduzione del numero dei parlamentari: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori, cui si aggiungono i senatori a vita (viene inoltre modificato il numero dei deputati e senatori eletti dagli italiani residenti all’estero, che passano, rispettivamente, da 12 a 8 e da 6 a 4).
Quello del “taglio dei parlamentari” – come a volte è stato definito, con una formula un po’ brutale, dai mezzi d’informazione – è un risultato che le principali forze politiche stavano perseguendo da diversi anni: per esempio, sia la revisione costituzionale approvata nel 2005 dal centrodestra (c.d. “devolution”), sia la riforma “Renzi-Boschi” del 2016 avevano previsto, nel quadro di un ridisegno complessivo dell’organizzazione dello Stato, una riduzione del numero di deputati e senatori; non avendo ottenuto il favore della maggioranza degli elettori, tuttavia, esse non erano entrate in vigore.
Nella legislatura che si sta per concludere, invece, il Parlamento ha preferito astenersi dal procedere a una “grande riforma” della Costituzione – ossia di modificare intere sue parti – per limitarsi a interventi più puntuali; un metodo che è risultato proficuo, dato che le riforme approvate sono poi entrate in vigore (oltre a quelle relative alla composizione e all’elezione delle Camere è doveroso ricordare anche quella che ha incluso la tutela dell’ambiente tra i principi fondamentali della Carta).
In questo modo, però, la riduzione del numero dei parlamentari è rimasta fine a se stessa, senza accompagnarsi a quella ridefinizione della composizione e delle funzioni di Camera e Senato, con la trasformazione di quest’ultimo in un organo rappresentativo delle Regioni, che avrebbe consentito di superare il “bicameralismo perfetto” (ossia il sistema, attualmente vigente, in cui i due rami del Parlamento si trovano in posizione paritaria, dato che occorre il consenso della maggioranza di entrambi sia per l’approvazione delle leggi, sia per l’attribuzione al Governo della fiducia).
I sostenitori della riforma hanno comunque argomentato – e con successo, dato che questa è stata confermata dagli elettori nel referendum tenutosi il 20 e 21 settembre 2020 – che il “taglio dei parlamentari”, oltre a portare ad avere un numero complessivo di rappresentanti paragonabile a quello delle altre democrazie occidentali, renderà più snello e rapido il lavoro delle Camere e consentirà di ottenere risparmi di spesa (senza contare l’opinione di chi ha visto nella revisione degli artt. 56 e ss. della Costituzione un’operazione “punitiva” nei confronti della “casta” dei “politici”, ritenuta nel suo complesso costosa e inefficiente).
Le voci critiche – oltre a manifestare scetticismo sugli effetti positivi in termini di velocità ed efficienza del procedimento parlamentare (le quali dipendono dai regolamenti che disciplinano il funzionamento delle Camere, più che dalla quantità dei componenti di queste) e a obiettare che si sarebbero potuti ottenere risparmi di spesa in altro modo – hanno messo l’accento sul pericolo insito nella riduzione del rapporto numerico tra eletti ed elettori, che potrebbe “allontanare” i rappresentanti dal territorio e dalla comunità di riferimento, divenuti più ampi ed eterogenei, comportando un accentramento del potere in pochi soggetti (basti pensare che, secondo un’elaborazione della fondazione Openpolis, vi sarà un deputato ogni 151.210 abitanti, mentre prima ve ne era uno ogni 96.006 cittadini, e che, per esempio, la Lombardia passerà dall’avere 102 deputati ad averne 64; a tal proposito, è interessante ricordare che il testo originario della Costituzione non stabiliva un numero fisso di parlamentari, ma prevedeva che venisse eletto un deputato ogni 80.000 abitanti e un senatore ogni 200.000 abitanti, in modo da assicurare un rapporto numerico tra eletti ed elettori che garantisse un’effettiva rappresentanza dei secondi da parte dei primi, e fu la legge costituzionale n. 2 del 1963 a stabilire un numero fisso di deputati e senatori).
La legislatura che si aprirà dopo le elezioni del prossimo 25 settembre si annuncia dunque come particolarmente importante anche perché si vedrà se gli effetti della riforma saranno positivi – ossia se aumenterà l’efficienza della Camere senza riduzioni apprezzabili della loro “rappresentatività” – o se al contrario si accentuerà il divario tra rappresentanti e rappresentati, con conseguente concentrazione del potere in pochi soggetti, come temono i pessimisti.
Occorre comunque ricordare che la legge costituzionale n. 1 del 2020 ha modificato anche l’articolo 59 della Costituzione, che disciplina la figura dei senatori a vita, tra cui rientrano gli ex Presidenti della Repubblica e cittadini nominati dal Capo dello Stato per meriti illustri: in particolare, la riforma ha precisato che il numero complessivo dei senatori in carica di nomina presidenziale non può essere superiore a cinque (così superando la tesi di chi, in passato, aveva ritenuto che ogni Capo dello Stato potessi nominare fino a cinque senatori a vita), anche al fine di salvaguardare il rapporto tra senatori eletti e senatori nominati, evitando che questi ultimi si trovino ad avere un peso relativamente maggiore, anche in conseguenza della riduzione del numero dei primi.
Infine, la legge costituzionale n. 1 del 2021 ha modificato l’articolo 58 della Costituzione, estendendo a tutti gli elettori maggiorenni il diritto di voto per il Senato, che prima era invece limitato a chi avesse superato il venticinquesimo anno di età: si tratta di un’innovazione che, se da un lato amplia opportunamente l’influenza dei più giovani sul governo della comunità cui appartengono, dall’altro rende ancora più simili le due Camere, accentuando il carattere paritario del bicameralismo italiano.
Anche in conseguenza di questa riforma e comunque nel contesto descritto appare dunque importante che tutti, e in particolare i più giovani, esercitino il proprio diritto di voto e coltivino, anche dopo le elezioni, una cittadinanza attiva: il rimedio principale ai difetti che ogni sistema democratico, anche quello meglio congegnato, comunque presenta è infatti costituito da una costante e attenta partecipazione dei cittadini all’organizzazione del Paese, che rappresenta la miglior garanzia che le decisioni dei governanti siano in armonia con gli orientamenti dei governati.
Gli articoli modificati dalle leggi costituzionali n. 1 del 2020 e n. 1 del 2021
art. 56
La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.
Il numero dei deputati è di quattrocento, otto dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per trecentonovantadue e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
art. 57
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
Il numero dei senatori elettivi è di duecento, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione o Provincia autonoma può avere un numero di senatori inferiore a tre; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni o le Provincie autonome, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
art. 58
I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto.
Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno.
art. 59
E` senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque.
“Una lettura guidata della Carta costituzionale”, a cura di Alessandro Basilico con la collaborazione di Gherardo Colombo, è un libro progettato e pubblicato dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus per le scuole e la cittadinanza.
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Leggi in anteprima il commento ai primi 12 articoli della Carta costituzionale: art. 1 | art. 2 | art. 3 | art. 4 | art. 5 | art. 6 | art. 7 | art. 8 | art. 9 | art. 10 | art. 11 | art. 12.
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