Art. 6
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. 

La Costituzione riconosce che, all’interno di uno Stato a maggioranza italiana, vivono popolazioni che parlano lingue diverse e hanno differenti culture, tradizioni, abitudini.

Invece di imporre a tutti di omologarsi alla maggioranza, la Repubblica deve garantire a queste minoranze l’uso della loro lingua e il mantenimento del loro stile di vita. Anche questo, a ben vedere, è una conseguenza del riconoscimento della «pari dignità» delle persone, la quale comporta appunto la salvaguardia dell’identità, anche culturale, di ciascuno.

La tutela delle minoranze linguistiche (in particolare di lingua francese in Valle d’Aosta, tedesca e ladina in Trentino-Alto Adige a cui si aggiungono i gruppi greci, albanesi e slavi) ha trovato applicazione nelle leggi che istituiscono le Regioni a Statuto speciale, dotate di particolare autonomia, e in quelle che consentono l’uso di una lingua diversa dall’italiano e l’istituzione di scuole speciali.

Questa norma può essere applicata anche alle minoranze linguistiche immigrate negli ultimi anni?

Si veda l’art. 38 del Testo unico sull’immigrazione, d.lgs. 286/1998:
La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni.

Samo è un cittadino italiano di lingua slovena. Gli viene fatta causa. Samo chiede di potersi esprimere in sloveno nel processo e di ottenere la traduzione degli atti fatti in italiano dall’altra parte e dal giudice. La legge però stabilisce che: «In tutto il processo è prescritto l’uso della lingua italiana» (art. 122 cod. proc. civ.). Questa legge è incostituzionale? Samo potrebbe chiedere che il processo si svolga tutto in sloveno?

Si veda la sent. Corte cost. 15/1996:
La “operatività minima” della tutela delle minoranze riconosciute – e, nella specie, di quella slovena – implichi, oltre all’inammissibilità di qualsiasi sanzione che colpisca l’uso della propria lingua da parte degli appartenenti alla minoranza protetta, il diritto “già ora… di usare la lingua materna e di ricevere risposte dalle autorità in tale lingua: nelle comunicazioni verbali, direttamente o per il tramite di un interprete; nella corrispondenza, con il testo italiano accompagnato da traduzione in lingua slovena”; e, nella sentenza n. 62 del 1992, ha affermato che il “nucleo minimale di tutela per gli appartenenti alla minoranza riconosciuta” comprende “il ‘diritto’ di usare la lingua materna nei rapporti con le autorità giurisdizionali e di ricevere risposte da quelle autorità nella stessa lingua”.

Ciò vale a escludere gli atti processuali compiuti per il tramite di avvocati e procuratori, i quali, nel processo civile, normalmente fungono da tramite tra la parte e il giudice. Nell’esercizio di una professione come quella legale, che sicuramente presenta aspetti pubblicistici, l’obbligo dell’uso della lingua ufficiale non appare discutibile. Né una deroga a tale obbligo potrebbe farsi derivare dalla circostanza che il patrocinio si svolga a favore di un soggetto di identità linguistica diversa e protetta, come quella slovena.

Una lettura guidata della Carta costituzionale - copertina della terza edizione (2018)Il commento all’articolo è tratto dal libro “Una lettura guidata della Carta costituzionale”, a cura di Alessandro Basilico con la collaborazione di Gherardo Colombo, progettato e pubblicato dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus per le scuole e la cittadinanza.

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