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Dall’Ombra

Un progetto di Patrizio Raso intorno al monumento a Roberto Franceschi

Azioni urbane e testimonianze disseminate dal 26 al 28 agosto 2020

Dall'Ombra (Lydia)
Dall'Ombra (Cristina)
Dall'Ombra (Luca)
Dall'Ombra (Mariapia)
Dall'Ombra (Giacomo)
Dall'Ombra (Sofia)
Dall'Ombra (Valentina)
Dall'Ombra (Samuele)
Dall'Ombra (Lydia
Patrizio Raso⠀
Dall'Ombra (Lydia), 2020⠀
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Dall'Ombra (Cristina)
Patrizio Raso⠀
Dall'Ombra (Cristina), 2020⠀
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Dall'Ombra (Luca)
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Dall'Ombra (Luca), 2020⠀
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Dall'Ombra (Mariapia), 2020⠀
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Dall'Ombra (Giacomo)
Patrizio Raso⠀
Dall'Ombra (Giacomo), 2020⠀
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Dall'Ombra (Sofia), 2020⠀
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Dall'Ombra (Valentina), 2020⠀
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Dall'Ombra (Samuele)
Patrizio Raso⠀
Dall'Ombra (Samuele), 2020⠀
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Patrizio Raso ha colto perfettamente lo spirito con cui la Fondazione opera: Dalla memoria, un progetto per il futuro. Non sterile commemorazione del passato dunque, ma testimonianza del percorso ideale, di forte impegno intellettuale e sociale, che Roberto avrebbe voluto seguire, fornendo opportunità di ricerca e di crescita personale a giovani ricercatori che difficilmente nelle accademie tradizionali troverebbero a inizio carriera sostegno o validazione delle loro scelte, anche a causa della loro posizione etica.

Cristina Franceschi
Presidente Fondazione Roberto Franceschi Onlus

Le azioni urbane realizzate dalle ricercatrici e dai ricercatori

Dall’ombra del Monumento a Roberto Franceschi nasce l’idea di hackeraggio dell’artista Patrizio Raso. L’intervento diventa una ricerca che coinvolge la Fondazione Roberto Franceschi Onlus e alcuni ricercatori universitari da essa sostenuti, con i quali l’artista sviluppa un dialogo iterato, in cui gli argomenti di ricerca si intrecciano con le vicende personali e umane dei partecipanti.
L’esplorazione elabora nuove esigenze e bisogni che i ricercatori, in un dialogo pubblico, aprono alla città con azioni simultanee che si svolgono nel tessuto urbano e nel web.
La ricerca all’ombra del Monumento allo studente Roberto Franceschi – ucciso dalla polizia il 23 gennaio 1973, di fronte all’Università Bocconi da lui frequentata – e a tutti i caduti delle lotte popolari dal ’45 ad oggi, porta alla luce problematiche sociali reali, diritti negati, disuguaglianze, violenze.
Roberto Franceschi affermava che, per realizzare i principi dei diritti umani, era necessario un forte impegno culturale e civile. La Fondazione Roberto Franceschi Onlus promuove la ricerca scientifica nell’ambito della prevenzione, diagnosi e cura di patologie e forme di emarginazione sociale. A tal fine, assegna annualmente fondi di ricerca destinati a studenti di corsi di laurea magistrale e di dottorato per la raccolta di dati originali sui problemi della povertà, della disuguaglianza e del disagio sociale.
L’indagine si concentra sul tema dei migranti, individuando approcci di ricerca di natura diversa nella consapevolezza che per evitare letture superficiali o strumentali è necessario incrociare i saperi e le conoscenze. La tematica è affrontata da ciascun ricercatore secondo l’ambito specifico di studio – economia, politica, religione, sociologia, media – ma in un comune orizzonte valoriale, che fu proprio di Franceschi, secondo cui il sapere acquisito con la ricerca scientifica deve essere messo a disposizione del riscatto degli sfruttati e degli emarginati.
Guardare l’ombra implica il desiderio di individuare la parte sospesa e irrisolta dell’oggetto monumentale. La sua proiezione orizzontale suggerisce un campo animato che coincide con il presente e la realtà. L’oggetto ha esaurito nella forma necessità contingenti al suo tempo; nell’ombra il dibattito è ancora aperto, il contorno è un abbozzo, la materia è molle.
Affrontando il rischio e la suggestione di un’immersione, nell’irrisolto monumentale potremo riportare alla luce visioni nel tempo sottratte.
Dall’Ombra è un progetto che nasce dall’idea di recuperare l’ombra di un monumento per proiettarla altrove. In questa condizione, l’ombra smette d’essere quel fenomeno naturale che riconosciamo come l’area scura proiettata su una superficie da un corpo e diventa puro oggetto simbolico. Questa situazione determina la possibilità di un attraversamento metaforico nel tentativo assai improbabile di definire significati e contorni. L’attenzione ricade su un presente che non perde la memoria, ma la esercita in funzione di una trasformazione che incrocia i bisogni della comunità.

Il percorso raccontato da Patrizio Raso

Nel 2017, a Tirana in Albania, per il progetto The Art of the Process. Entrepreneurs in Albania curato da Valentina Bonizzi, mi sono trovato per la prima volta ad intervenire su alcuni monumenti. Si trattava di alcune statue del periodo comunista che durante il regime erano al centro delle piazze di Tirana e si ergevano prepotenti sui loro piedistalli proiettando la loro lunga ombra verso lo spazio urbano come a dominarlo. Ora le stesse statue sono deposte, senza piedistallo, parcheggiate in uno spazio retrostante di un edificio statale. Ho chiesto a Valentina Bonizzi ed al gruppo di ragazze che seguivano il progetto di provare ad avvicinarsi a queste statue per recuperarne il profilo dell’ombra su un cartone. Questo semplice invito ha attirato l’attenzione di alcune guardie le quali hanno invitato il gruppo a non avvicinarsi alle statue. Le ombre sono state poi recuperate attraverso l’idea di imitare per ogni statua la postura tracciando a terra con dei gessi il profilo. In questo modo il gruppo ha potuto prolungare nuovamente quelle ombre alla città, ponendole replicate più volte in piazze e vie. Questa azione ha attivato tra il gruppo ed i passanti alcune discussioni di natura politica, sul potere, la libertà, la democrazia.

Ho incontrato e conosciuto Simona Da Pozzo a Latronico in Basilicata, in occasione di una collettiva in cui si esponeva i bozzetti di alcune bandiere esposte a Manifesta12 di Palermo. In quella circostanza Simona mi ha parlato del suo progetto Hacking Monument e così le ho raccontato dell’azione compiuta in Albania. Nel suo blog, dedicato alla mappatura degli hackeraggi, è confluita così la documentazione di quel lavoro. A distanza di qualche anno Simona mi chiama per invitarmi a partecipare a questo lavoro per la Triennale chiedendomi di pensare un workshop partendo da uno o più monumenti della città di Milano.

Non mi sono mai occupato specificamente di monumenti, l’azione compiuta in Albania è stato un fatto isolato. Qualche anno prima, nel 2013 un laboratorio Baubaus organizzato in Careof a Milano per la mostra di Emma Ciceri, Madre di monumenti. Non mi hanno mai affascinato i monumenti, anzi direi che trovo molti di loro disturbanti ed inutili, un’occupazione di suolo pubblico e basta. La cosa che più mi ha sempre infastidito è la loro inavvicinabilità. Posati sui loro piedistalli, sproporzionati dalla umana dimensione, difesi da catene, fontane e muretti, il monumento sembrerebbe utile ad una funzione pubblica ma finisce con il celebrare se stesso ed il potere ed il cittadino è  un semplice ostaggio.

Quando Simona mi ha invitato a scegliere uno o più monumenti di Milano per un workshop ho subito pensato che avrei potuto lavorare su questa condizione di distanza che i monumenti, per loro natura, tendono a determinare.

Nel mio modo di fare, preferisco avere un diretto contatto con le cose prima ancora di documentarmi. Capita così che nasce una curiosità che poi mi porta ad una ricerca approfondita ed eventualmente ad un lavoro. Ma la condizione di lockdown dovuta alla pandemia non mi ha permesso di girovagare fisicamente per Milano. Ho dovuto scegliere un’altra modalità, allora ho girovagato per la rete. Ed è stato così che ho incrociato per puro caso il Monumento a Roberto Franceschi, la cosa che subito mi ha colpito è stato il fatto che fosse dedicato ad uno studente a quella controparte del potere che diventa vittima. Franceschi è stato ucciso, così come in altre circostanze Saltarelli e Zibecchi, dalla polizia di stato.

Un monumento, che poi ho scoperto, nasce con l’idea di contro-monumento e che negli anni ‘70 scatena un importante dibattito durato tre anni, tra artisti, familiari e comitato studentesco. Mi è sembrato affascinante l’idea di riaprire il dibattito, considerando l’esito formale del 1977, il maglio, un passaggio di senso legato al suo tempo. La bellezza di questo monumento si esprime in parte nella forma ma prosegue nell’azione che quella forma rappresenta, un martello sociale per disegnare meglio il mondo. La Fondazione Roberto Franceschi, attiva a Milano dal 1996, estende la forma oltre l’oggetto della rappresentazione, con la sua azione di impegno sociale attiva realmente il maglio come un forgiatore di conoscenza. Mi sembra quindi, interessante andare oltre il ferro della memoria, dialogando con questa materia calda, viva, presente, rappresentata dai ricercatori che fanno parte del network della Fondazione Roberto Franceschi, impegnati nello studio di problematiche sociali reali, diritti negati, disuguaglianze, violenze.

A convincermi del tutto che quello che stavo osservando era davvero il monumento su cui avrei voluto lavorare sono state le conversazioni con Pasquale Campanella che negli anni ‘70 ha partecipato ad alcuni degli incontri di discussione sulla progettazione del monumento presso lo studio di Alik Cavaliere. La lettura del libro Che cos’è un monumento – Storia del Monumento a Roberto Franceschi, di Francesco Poli e Ezio Rovida, in cui convergono alcune discussioni sul senso del monumento ancora attualissime. Poi c’è stato un’altro elemento che è stato determinante, l’aver scoperto che il monumento posizionato nel 1977 davanti all’Università Bocconi è stato fino al 2013 un monumento di fatto clandestino, non autorizzato, abusivo.

Che cos'è un monumento - Storia del monumento a Roberto Franceschi - copertina del libro di Francesco Poli e Ezio Rovida
Clicca sull’immagine per leggere il libro

Un monumento, che poi ho scoperto, nasce con l’idea di contro-monumento e che negli anni ‘70 scatena un importante dibattito durato tre anni, tra artisti, familiari e comitato studentesco. Mi è sembrato affascinante l’idea di riaprire il dibattito, considerando l’esito formale del 1977, il maglio, un passaggio di senso legato al suo tempo. La bellezza di questo monumento si esprime in parte nella forma ma prosegue nell’azione che quella forma rappresenta, un martello sociale per disegnare meglio il mondo. La Fondazione Roberto Franceschi, attiva a Milano dal 1996, estende la forma oltre l’oggetto della rappresentazione, con la sua azione di impegno sociale attiva realmente il maglio come un forgiatore di conoscenza. Mi sembra quindi, interessante andare oltre il ferro della memoria, dialogando con questa materia calda, viva, presente, rappresentata dai ricercatori che fanno parte del network della Fondazione Roberto Franceschi, impegnati nello studio di problematiche sociali reali, diritti negati, disuguaglianze, violenze.

Il primo colloquio con la Fondazione si è svolto – per una coincidenza che a posteriori sembra quasi validare un rispecchiamento di quella operazione nella nostra iniziativa – in data 16 aprile, che nel 1977 fu proprio il giorno della posa del maglio in via Bocconi.

Da parte della Fondazione, si è evidenziato come l’iniziativa che si va costruendo colga lo spirito con cui la Fondazione stessa opera, sintetizzata nel motto “Dalla memoria, un progetto per il futuro”. Non sterile commemorazione del passato dunque, ma testimonianza del percorso ideale, di forte impegno intellettuale e sociale, che Roberto avrebbe voluto seguire, fornendo opportunità di ricerca e di crescita personale a giovani ricercatori che difficilmente nelle accademie tradizionali troverebbero a inizio carriera sostegno o validazione delle loro scelte, anche a causa della loro posizione etica.

Per dare un segno più forte all’intera operazione, abbiamo scelto di individuare un tema specifico. Fra le tante strade percorribili, è stato scelto il tema delle migrazioni perché approfondito sotto punti di vista diversi e complementari da molti dei ricercatori sostenuti dalla Fondazione.

La pluralità degli ambiti di studio – economia, politica, religione, sociologia, media – in cui i ricercatori affrontano il tema risponde da un lato alla necessità di incrociare i saperi e le conoscenze per evitare letture superficiali o strumentali; dall’altro viene riunificata in un comune orizzonte valoriale, che fu proprio di Franceschi, secondo cui il sapere acquisito con la ricerca scientifica deve essere messo a disposizione del riscatto degli sfruttati e degli emarginati.

Il tema si presta del resto anche a richiamare altri problemi che interrogano la nostra coscienza, il nostro senso di responsabilità e la nostra solidarietà verso chi è più svantaggiato. Stando alla definizione dell’Onu, immigrato è chi si è «spostato in un Paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel Paese da più di un anno». Tuttavia, come fa notare il sociologo Maurizio Ambrosini, membro del Comitato Scientifico della Fondazione, non chiamiamo immigrati gli stranieri provenienti dai paesi ricchi, né i benestanti, o le persone famose, dei paesi poveri. Il termine si applica solo agli stranieri residenti classificati come poveri: si può dire che «la ricchezza sbianca». É evidente quindi che parlare di immigrazione significa anche chiamare in causa le disuguaglianze tra ricchi e poveri, intersecando quindi un altro dei temi di fondamentale interesse della Fondazione.

Tenendo presente il tema individuato, d’intesa con la Fondazione sono stati invitati a partecipare singoli ricercatori. Si è scelto di scommettere su quello che poteva sembrare un elemento di squilibrio – la differenza di età, background, personalità tra i 5 ricercatori selezionati – valorizzandolo e rendendolo un elemento di ricchezza dell’operazione.

Non tutti i ricercatori – e le ricercatrici, che anzi in questa selezione rappresentano la maggioranza numerica – si conoscevano tra di loro, e questo forse è stato un aiuto perché ciascuna/o individuasse una modalità di intervento più consona alle proprie caratteristiche, senza influenzarsi a vicenda.

Esistono infiniti modi per incontrarsi ma non sempre siamo davvero disposti a farlo. Presi come siamo dalle nostre cose, dal cosa siamo, dimentichiamo chi siamo. Spariamo nell’ombra di un sistema che ci ingoia.

Negli incontri con i ricercatori si è tentato un percorso di scoperta della persona, un ascolto reciproco intrecciato di qualità distinte, saperi e vissuto personale, uno scambio aperto a tratti apparentemente inutile per il fine di un preciso scopo, ma fondamentale nella messa in discussione di un fare quotidiano, agito molte volte come azione automatizzata. Si voleva incontrare la persona, perché è la persona che muove le cose, le sue capacità di iniziativa corrispondono ad un bisogno autentico.

Ci siamo raccontati, non perché riteniamo che i fatti della vita bastino a dire chi siamo ma perché possono aiutare a individuare una direzione e una provenienza. Nella stessa direzione abbiamo collocato gli elementi del nostro lavoro mettendoli in discussione con la nostra storia. Abbiamo così riagganciato le scelte del nostro percorso esistenziale, le domande a cui volevamo dare risposta. La persona che siamo aveva scelto di agire.

Quante volte ci sarà capitato di dare appuntamento alle persone usando i monumenti come riferimento del luogo? così è stato, il primo incontro fisico è avvenuto al Monumento dedicato a Roberto Franceschi. Ci eravamo lungamente raccontati, avevamo già intrapreso un percorso insieme ma la prima volta che ci siamo visti di persona è stato al monumento. Per ogni ricercatore il monumento, un momento, un giorno, un cielo, un gelato, le parole, l’ombra, la fotografia.

Gli incontri al monumento sono nati strada facendo… ero fissato già dall’inizio con l’idea di voler lavorare con l’ombra del monumento che avrei scelto, in parte perché mi piaceva l’idea di riprendere il lavoro svolto in Albania ed in parte perché ritenevo interessante intervenire sulla porzione di forma incompiuta, laterale, prossima. L’ombra appartiene al monumento così come la materia che lo costituisce, prosegue la forma con una materia molle, plasmabile.

L’ombra del Monumento a Roberto Franceschi al mattino si proietta sull’edificio dell’Università Bocconi e nel pomeriggio scende in strada. Tra le diciassette e le diciotto e trenta sembra quasi voler bloccare il traffico, poi si mescola all’ombra degli alberi e delle altre cose e si estende così dappertutto.

Avrei voluto prendere l’ombra di quel monumento per portarla ovunque in pieno giorno. Esibirla come un fatto innaturale, urlarla. Questa è l’ombra di uno studente, un ragazzo, una persona! …in effetti, inizialmente pensavo di individuare un modo, una materia che mi consentisse di impregnare la forma dell’ombra. Immaginavo una bandiera, un vessillo da esibire verticale. Poi ho capito che avrei finito col costruire un’altra cosa, un altro oggetto a quel punto inutile se non pericoloso. Mai avrei voluto estetizzare o spettacolarizzare l’intervento, a me non interessava far piacere ma rendermi utile.

È bastato mettersi all’ombra del monumento tra le diciassette e le diciotto e trenta. Nel tempo di uno scatto fotografico sono successe tante cose. La persona fotografata andava e veniva dal margine al centro strada, usciva e rientrava nell’ombra, aspettava, fermava il traffico, correva, qualche sorriso, stava in piedi ed usciva dall’ombra.

Patrizio RasoNato a Polistena (RC) nel 1978, vive e lavora a Milano. La ricerca artistica dell’artista nasce dall’esperienza della pittura e del disegno. Dal 2005 al 2009 organizza in Calabria Spaventamafiosi, un laboratorio che coinvolge i cittadini in azioni collettive a tutela dell’immaginario civile. Nel 2010 crea BAUBAUS, con cui organizza numerosi laboratori serali aperti, negli spazi espositivi dell’Associazione Careof. Il gruppo indaga pratiche artistiche in cui il disegno è mezzo esperienziale di osservazione per una ricerca azione accessibile a tutti. Dal 2015 collabora con il gruppo Wurmkos. Nel 2016, con Pasquale Campanella e Monica Sgrò dà avvio a Educational Art, un progetto che unisce pratiche artistiche e sperimentazioni pedagogiche, sviluppando nuove metodologie didattiche e modelli alternativi alle istituzioni scolastiche. È nella redazione collettiva di Fuoriregistro, quaderno di studi tra arte contemporanea e pedagogia, edito da Boîte.

mostre selezionate

2019 Ritratti reali, mostra a conclusione della residenza artistica a Monno BS per il progetto Aperto Art On_The Board direttore artistico Giorgio Azzoni, Oratorio Don Rinaldo Rodella, Monno (BS); Resistenza Resilienza, a cura di Gaia Bindi, Piero Gilardi, Wurmkos, Berta, PAV parco arte vivente, Torino; Educational Art, Inchiesta, workshop, Liceo Artistico Caravaggio, Milano.

2018 Patrizio Raso/Baubaus, Una sedia per guardarsi, in Unlearning Barcelona a cura di Maria Rosa Sossai, Istituto Italiano di Cultura, Barcellona (Spagna); Patrizio Raso/Baubaus, Quarta stanza, Nesxt Indipendent Art Festival-Torino; Patrizio Raso, Fuori Luogo, a cura di Lori Adragna e Andrea Kantos, Border Crossing, MANIFESTA 12, Palermo; Patrizio Raso/Baubaus, Dal segno degli altri, a cura di Museo Wunderkammer, Spazio Archeologico del Sas, Trento.

2017 Patrizio Raso Baubaus, Un’ora per guardarsi, in Vivere Insieme, a cura di Maria Rosa Sossai, Fabbrica del Vapore/ C.I.Q., Milano; The Art of the Process. Entrepreneurs in Albania, a cura di Valentina Bonizzi, COD – Center For Openness And Dialogue, Tirana (Albania); Wurmkos La Passione del grano, a cura di Marco Scotini, PAV_parco arte vivente, Torino.

2016 Wurmkos, L.A.M., Dipartimento Educazione Fondazione Merz, Animale, a cura di Gabi Scardi, Rocca di San Giorgio, Orzinuovi (BS); Patrizio Raso/Baubaus, Qui non si dorme mai, l’arte oltre l’orario d’ufficio, Careof – DOCVA, Milano.

2015 Pensione Macao, a cura di MuseoTeo, MACAO, Milano.

2013 Patrizio Raso, DELOCATION, ViArtis sulle rotte mediterranee, Anfiteatro Arena dello Stretto, Reggio Calabria.

Hacking Monuments è un progetto di ricerca, ma anche la pratica artistica, di Simona Da Pozzo, nato nel 2017. La pratica prende avvio dall’analisi di come artist* e attivist* attraverso l’intervento (o hacking) su monumenti in uno spazio pubblico modificano la relazione tra persone, eredità culturale, arte e potere. Con questo progetto, Da Pozzo si relaziona ogni volta con un monumento diverso, studiando un hacking che possa modificare la percezione dello stesso e sollevare una riflessione critica sul concetto di standpoint (punto di vista). Hacking Monuments si arricchisce continuamente della relazione con altr* artist*, attivist*, istituzioni, visibile sia in un blog che in incontri e iniziative pubbliche, diventando uno strumento di dialogo.

Grazie alla vincita di Call for Ideas – Urban Factor, bando per il public program di Milano Urban Center promosso dal Comune di Milano e Triennale Milano, Da Pozzo ha curato un ciclo di incontri per Ex-Voto (Association for Radical Public Culture) coinvolgendo altre personalità del mondo dell’arte: Hacking Monuments. Tips to make sense of them, una mostra digitale in collaborazione con Visualcontainer; Parli con me?, un workshop aperto e gratuito tenuto da Pietro Gaglianò; e Dall’Ombra, azioni urbane e testimonianze disseminate a cura dell’artista Patrizio Raso.