Art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Libertà delle confessioni religiose significa innanzitutto possibilità, per i cittadini che professano una certa religione, di farlo pubblicamente, anche costituendo una struttura organizzata e autonoma, nel rispetto dei diritti fondamentali.
Inoltre, in applicazione del principio di eguaglianza, non è possibile né attribuire privilegi né penalizzare una Chiesa rispetto alle altre, nemmeno in considerazione del numero dei suoi aderenti. Farlo comporterebbe infatti la negazione della «pari dignità» dei singoli fedeli.
Più in generale, lo Stato può regolare i propri rapporti con le varie Chiese solamente sulla base di accordi stretti con esse.
Storicamente, il processo di attuazione di questa disposizione è stato lungo e rimane ancora incompleto: per decenni, mentre la Chiesa cattolica poteva avvalersi del Concordato, le altre confessioni religiose erano prive di disciplina. Solo dopo il 1984 sono state stipulate varie intese, tra cui quelle con la Tavola valdese, l’Unione Comunità Ebraiche in Italia, l’Unione Buddista Italiana (l’elenco completo è pubblicato sul sito della Presidenza del Consiglio).

Se un’associazione religiosa chiede di poter stipulare un’intesa, il Governo può rifiutarsi? Nel caso, l’associazione può rivolgersi a un giudice?

Sent. Corte cost. 52/2016
Per il Governo, l’individuazione dei soggetti che possono essere ammessi alle trattative, e il successivo effettivo avvio di queste, sono determinazioni importanti, nelle quali sono già impegnate la sua discrezionalità politica, e la responsabilità che normalmente ne deriva in una forma di governo parlamentare.
Vi è qui, in particolare, la necessità di ben considerare la serie di motivi e vicende, che la realtà mutevole e imprevedibile dei rapporti politici interni ed internazionali offre copiosa, i quali possono indurre il Governo a ritenere non opportuno concedere all’associazione, che lo richiede, l’avvio delle trattative.
A fronte di tale estrema varietà di situazioni, che per definizione non si presta a tipizzazioni, al Governo spetta una discrezionalità ampia, il cui unico limite è rintracciabile nei principi costituzionali, e che potrebbe indurlo a non concedere nemmeno quell’implicito effetto di “legittimazione” in fatto che l’associazione potrebbe ottenere dal solo avvio delle trattative.
Scelte del genere, per le ragioni che le motivano, non possono costituire oggetto di sindacato da parte del giudice.

Il commento all’articolo è tratto dal libro “Una lettura guidata della Carta costituzionale”, a cura di Alessandro Basilico con la collaborazione di Gherardo Colombo, progettato e pubblicato dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus per le scuole e la cittadinanza.

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