«Non ho mai separato la politica dalla letteratura. Ho creduto nella rivoluzione cubana e nel comunismo. Ma mi sono allontanato dall’una e dall’altro. Nel 1966, in Urss, mi resi conto che quello era un luogo di disuguaglianze con una claustrofobia collettiva. Poi, a Londra, ci fu la svolta decisiva»
Marco Missiroli ha intervistato Elena Ferrante. L’intervista è durata cinque settimane. È avvenuta via email. Ogni email una sola domanda. Hanno discusso di passione per la letteratura e di metodo di lavoro. Per esempio è stato citato Julian Barnes, di come la sua ispirazione si giovasse «del potere di fare una lavatrice tra una pagina e l’altra». Non riesco a trovare nessun rituale interessante, ha risposto Elena Ferrante: «Diciamo che per abitudine scrivo al tavolo di cucina. E quando non viene fuori niente di buono, tolgo foglie secche alle piante di casa»
Romain Gary si è seduto (vestito)sul bidet di un hotel di Parigi; Philip Roth si è ritirato in un monolocale di Manhattan; Ágota Kristóf si è rinchiusa in un cucinotto riscaldato male da una stufa a legna. Rinunciare a ciò che si è fuori dalla scrittura sembra finire in ciò che si è nella scrittura