Italia, immigrazione boom nonostante la crisi – Guido Plutino

La velocità dei flussi – di ingresso ma anche di uscita – caratterizza la realtà del nostro paese. Il caso Milano è tra i più significativi

In un mondo che rimpicciolisce a vista d’occhio sotto l’effetto di cambiamenti economici, sociali e tecnologici il melting pot è un destino inevitabile. Lo è, in primo luogo, perché costituisce il portato di una globalizzazione spinta a velocità sempre maggiore, che sembra ulteriormente accresciuta piuttosto che frenata dalla crisi sistemica in corso.

Tuttavia destino non è affatto sinonimo di condanna. Semmai di sfida, di necessità e – nel caso dell’Italia e di altri Paesi europei – anche di opportunità, considerate le tendenze demografiche e di costume.

Governare il fenomeno, complesso e di vaste dimensioni, dei flussi migratori internazionali è dunque una cogenza ed è urgente. La sua necessità si basa su una difficile equazione, i cui termini sono da un lato il contenimento dei contraccolpi xenofobi e, dall’altro, il rispetto delle radici culturali di chi arriva e di chi accoglie. Il risultato finale dovrebbe essere qualcosa di più della semplice integrazione lavorativa del migrante in un contesto che resta mono-culturale. Dovrebbe essere accoglienza nel senso profondo del termine, una somma (o, meglio ancora, una moltiplicazione) piuttosto che una sottrazione. Un melting pot, appunto, in grado di assicurare la crescita complessiva del tessuto sociale.

Potrebbe sembrare facile e certamente è facile a dirsi, tanto è vero che molti – a parole – condividono questa posizione. Ma gli atti concreti, a cominciare dai provvedimenti legislativi in materia di immigrazione, dimostrano con la loro scarsa efficacia e talora con una forte impronta ideologica che la strada per arrivare a un approccio laico e informato è lunga. L’atteggiamento prevalente resta quello di una superficiale accettazione, purché tutto avvenga non troppo vicino alla propria realtà sociale, abitativa, professionale, e così via. Insomma, not in my back yard, esattamente come avviene in altri casi “scomodi” (sono d’accordo con l’utilizzo dell’energia atomica, ma non voglio centrali vicine alla mia città, servono nuovi impianti di smaltimento rifiuti, ma la collocazione giusta è nel comune vicino al mio, eccetera).

Naturalmente non mancano best practice e storie di successo a cui ci si potrebbe ispirare. Ma in verità non mancano neppure episodi di rigetto, tensioni sociali e situazioni di degrado.

Ecco perché, forse mai come nel caso del magma ancora informe e incandescente di questo processo, è buona cosa allontanarsi qualche passo dalle polemiche quotidiane e dallo scontro politico per affrontare la questione dell’immigrazione attrezzati con un buon bagaglio di dati, ricerche ed esperienze internazionali.

E’ questo l’obiettivo che ha guidato la realizzazione del Primo Seminario del Network Roberto Franceschi, dedicato appunto al tema “Flussi migratori e crisi economica: questioni globali e riflessi locali”. Allo svolgimento dei lavori hanno partecipato studiosi e ricercatori di chiara fama, che hanno presentato analisi di grande interesse e in molti casi di rilievo innovativo.

Qualche numero sull’Italia…

A corredo e completamento di un quadro internazionale dettagliato e complesso (di cui danno conto le relazioni e gli altri materiali scaricabili dal sito della Fondazione Franceschi) aggiungiamo qui alcuni elementi sintetici sulla situazione in Italia, che rappresenta al tempo stesso la meta ambita di rilevanti flussi migratori e un luogo di partenza per un numero non irrilevante di persone.

L’immigrazione che sceglie come destinazione il nostro Paese presenta alcune caratteristiche particolari, a cominciare dalla crescita molto rapida dei flussi, che è stata efficacemente illustrata nel libro di Francesco Daveri “Stranieri in casa nostra” (Egea Editore, 2010). <Cinque milioni di persone – scrive tra l’altro Daveri -, l’8% della popolazione totale: tanti sono gli stranieri oggi registrati in Italia. Ancora alla fine degli anni Ottanta gli stranieri nel nostro Paese erano però pochi, pochissimi: uno su cento abitanti. Da allora il loro numero è raddoppiato ogni tre anni in termini assoluti e ogni sei anni rispetto alla popolazione totale. A un ritmo che in Europa negli ultimi anni hanno seguito solo gli spagnoli>.

E’ facile comprendere quali pressioni sociali abbia comportato questa elevata velocità di crescita (quasi sempre accompagnata dalla mancanza di adeguate strutture di sostegno all’integrazione). E infatti prosegue Daveri: <Da un’indagine di Nomisma viene fuori che sei italiani su dieci pensano che gli stranieri, gli immigrati, siano troppi. Non solo tanti, troppi>.

Una percezione diffusa, quindi, anche se con significative differenze a seconda del grado di scolarità.

… E su Milano

Alla fine del 2010 l’Ufficio statistiche del Comune di Milano ha diffuso ampie elaborazioni sulla presenza di stranieri nei quartieri cittadini. I numeri si riferiscono a immigrati integrati, cioè residenti in regola con i documenti e con una casa. Si tratta di 212mila persone, circa il 16% della popolazione di Milano (gli italiani sono 1,1 milioni). L’incremento è stato estremamente significativo. Nel 1980 gli stranieri in città erano 22mila, mentre i “locali” erano 1,6 milioni). In trent’anni sono cresciuti dell’854%  e contemporaneamente gli italiani si sono ridotti del 32 per cento.

Le comunità più numerose sono quelle di filippini (oltre 32mila persone), egiziani (27.800 persone) e cinesi (18.550). Infine la distribuzione nei diversi quartieri, che come intuibile non è omogenea. Nelle periferie la percentuale di stranieri è compresa tra il 20 e il 30 per cento. Con il rischio, già più volte sottolineato, di una ghettizzazione.

Ma tornando allo scenario nazionale, quali sono i trend effettivi dell’immigrazione? E quali tendenze si sono evidenziate in tempo di crisi economica?

Per rispondere facciamo riferimento a tre lavori di ricerca: il XVI Rapporto sulle migrazioni della Fondazione Ismu, il Dossier Caritas-Migrantes e il Rapporto italiani nel mondo 2010 elaborato dalla Fondazione Migrantes.

 

Il Rapporto Ismu

Il Rapporto sulle migrazioni dell’Istituto studi per la multietnicità (Ismu, www.ismu.org), giunto nel 2010 alla sedicesima edizione, rappresenta un punto di riferimento per chi vuole indagare questo fenomeno. Secondo l’ultima rilevazione gli immigrati in Italia sono 5,3 milioni, un numero leggermente superiore a quello riportato nel volume di Daveri. A questo dato va poi aggiunta la stima degli irregolari: 544mila, con una riduzione di 16mila persone rispetto al 2009. La prima evidenza che si segnala è dunque quantitativa: rispetto al recente passato, nel 2010 i flussi netti di arrivo si sono ridotti (di circa 100mila persone), un trend legato anche alla minore richiesta di personale non specializzato da parte delle aziende.

Come prevedibile, le regioni del Nord Italia assorbono circa il 60% dei lavoratori immigrati. Le prime tre nazionalità rappresentate sono i romeni (1.112mila persone), gli albanesi (586mila) e i marocchini (575mila). Ma in questo universo multicolore si trova anche una evidenza qualitativa di grande importanza: è il vero e proprio boom di bambini. I minori superano ormai il milione, con un crescita del 300% rispetto al 2003. E inoltre c’è una buona notizia. Chi arriva e rimane in Italia, in genere, si fa raggiungere dalla famiglia ed è dunque più stabile, meglio radicato. Tra il 2005 e il 2009 la crescita dei nuclei familiari è stata del 5 per cento.

Infine la questione più sensibile e spesso strumentalizzata: la devianza. Gli episodi criminali tra gli immigrati si stanno riducendo: nel 2009 gli stranieri denunciati dalle forze dell’ordine sono diminuiti di circa il 14% rispetto all’anno precedente, ma rappresentano comunque un terzo del totale. La stessa proporzione si incontra quando si esamina la popolazione carceraria.

Il Rapporto Caritas-Migrantes

Una domanda che in questo periodo si sente spesso formulare riguarda la relazione tra i flussi migratori e la grave crisi economica in corso. Esiste ed è misurabile un rapporto di causa-effetto tra crisi e consistenza dei flussi migratori? Naturalmente la prima risposta, intuitiva, è affermativa. Sembra perfino ovvio che un contesto economico debole esprima minori opportunità e dunque il suo appeal cali. Ma la questione è più complessa. Se infatti è vero che la domanda debole di forza lavoro ha rarefatto i flussi dei nuovi arrivi (come spiega il Rapporto Ismu), è altrettanto vero che gli immigrati hanno saputo reagire meglio dei “nativi” alle difficoltà della congiuntura. Il caso Lombardia, indagato dal Rapporto Caritas-Migrantes (www.caritasitaliana.it) lo testimonia bene. Nel 2009 il peso dei lavoratori immigrati sul totale è salito al 15,9% (era il 15,7% nel 2008) e un incremento più sostanzioso si riscontra nella percentuale delle assunzioni di stranieri (dal 35,7 al 39,9% del totale).

La Lombardia si conferma dunque la regione italiana con il maggior numero di residenti stranieri (all’inizio del 2010 erano 982mila, il 23,2% della popolazione).

Come si spiegano questi numeri in presenza di condizioni economiche difficili e a volte addirittura critiche? Il Dossier Caritas-Migrantes elenca gli ingredienti della ricetta: i lavoratori immigrati sono disponibili ad accettare ogni tipo di impiego e sono estremamente flessibili. In aggiunta, si verifica un incremento costante della domanda di Colf e badanti da parte delle famiglie. Una conferma di questa situazione si trova nell’analisi degli occupati per settore di attività. Nell’ultimo anno sono diminuiti gli occupati stranieri nell’industria (-2,3%) e nelle costruzioni (-4,3%), ma sono cresciuti nell’agricoltura (+ 23,8%), nelle attività ricettive (+7,3%) e nei servizi prestati alle famiglie (+11,6%). Sono state dunque le donne a salvare i livelli occupazionali degli immigrati, compensando la diminuzione dei lavoratori maschi causato dalla crisi economica.

 

Il Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes

Ma cosa succede se invertiamo il punto di vista di 180 gradi? L’effetto può essere spiazzante. L’immigrazione è stata per lungo tempo un fenomeno di massa, fa parte del bagaglio storico dell’Italia, appartiene alla memoria collettiva. Non è però solo un retaggio del passato. Secondo il Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes (2010, www.migrantes.it), all’estero vivono 4 milioni e 28mila italiani, cioè il 6,7% del totale dei residenti in Italia. Curiosamente il numero non è molto dissimile da quello degli immigrati nel nostro Paese. Il trend è in crescita: rispetto al 2009 la crescita è di 113mila unità, mentre considerando il 2006 è di ben un milione.

La presenza degli italiani residenti (con cittadinanza, passaporto e diritto di voto) è particolarmente significativa in Europa (scelta come destinazione dal 55% degli emigrati) e in America (39,3%). Meno frequenti le altre scelte: Oceania (3,2%), Africa (1,3%) e Asia (0,9%). Considerando invece i singoli Paesi, la geografia della densità di emigrazione italiana vede in testa Argentina e Germania con oltre 600mila residenti a testa, seguite da Svizzera (500mila), Francia (370mila), Brasile (270mila), Australia, Venezuela e Spagna (oltre 100mila).

Infine gli oriundi, cioè la traccia, l’eredità del passato. Nel mondo i discendenti degli immigrati italiani sono circa 80 milioni. Un intero popolo che vive in Brasile (25 milioni di persone), in Argentina (20 milioni), negli Stati Uniti e in Francia (17,8 milioni), in Canada (1,5 milioni), in Uruguay (1,3 milioni) e ovunque nel mondo.

È anche a questa grande memoria vivente, ricca e feconda, che occorre rifarsi per non ripetere errori del passato e imparare la lezione dell’accoglienza e dell’inclusione.

Guido Plutino

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