2 giugno 1946, dopo il periodo fascista, gli italiani furono chiamati a libere elezioni politiche.
Bisognava votare per i partiti che avrebbero fatto parte della Assemblea Costituente a cui era affidato il compito di redigere la nuova Carta costituzionale. Contemporaneamente dovevano rispondere al referendum per scegliere la forma di Stato tra monarchia o repubblica.
Per la prima volta, nella storia d’Italia, poterono votare anche le donne che avessero già compiuti i 21 anni, ossia fossero maggiorenni. Ricordo con quanta emozione andai a votare pensando alle tante battaglie che le donne avevano intrapreso, lungo quasi un secolo di storia, per ottenere il diritto al voto. Per l’occasione mi feci fare un abito nuovo perché per me era un giorno di festa, avevo il diritto al voto; non c’era più differenza, in questo campo, tra uomo e donna.
Quando dopo la pubblicazione della nostra Costituzione la comprai per andarmela subito a leggere, ricordo che mi scesero delle lacrime leggendo l’articolo 3 che così recita: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Finalmente non esistevano più discriminazioni tra uomini e donne, tra ricchi e poveri, tra credenti e non credenti, tra comunisti e liberali, tutti con pari dignità sociale e eguaglianza. Avevamo con la Costituzione una carta che accomuna tutti i cittadini indipendentemente dalle condizioni personali e sociali di ciascuno di essi.
Inoltre con l’articolo 3 eravamo passati dal ruolo di sudditi a quello di cittadini. Eravamo cittadini di un Paese libero che aveva lottato con tutte le sue forze per arrivare all’uguaglianza dei diritti.
La nostra Carta costituzionale è stata una conquista che ha avuto un caro prezzo, basta pensare ai partigiani morti sulle nostre montagne, nelle strade delle grandi città o in quelle dei piccoli paesi, quelli fucilati o impiccati oltre ai tanti morti nei campi di sterminio nazisti.
Con la mente ritorno agli anni della Resistenza.
Erano stati anni duri: oltre ai tremendi disagi della guerra, c’era anche la Resistenza che aveva come protagonisti i partigiani e a loro fianco gente comune che, pur non combattendo, dava il suo contributo o il proprio aiuto.
Anch’io ho dato il mio microscopico contributo. Il mio compito consisteva nel prendere, mentre andavo a piedi da casa mia all’università, dei foglietti che mi venivano dati con una parola d’ordine, quindi dovevo portarli in un certo palazzo, che mi veniva indicato, presso la cui portineria chiedevo la chiave del gabinetto comune, in genere nel cortile, per poi nasconderli dietro la vaschetta dello scarico in maniera che non fossero in vista.
Una volta, mentre camminavo, una signora mi prese per un braccio e mi disse, in milanese, di non andare avanti, perché c’erano i tedeschi che facevano un rastrellamento e obbligavano a salire su un camion soprattutto i giovani. Continuava a ripetermi “scappa, scappa che te se giovane!”. Io avevo con me i foglietti (sempre in carta velina), alcuni li mangiai, altri li distrussi. Credo che neppure una lepre fu più veloce delle mie gambe a ritornare a casa. Forza della paura che rende coraggiosi tutti!
Erano anche questi i piccoli contributi che, sotto forme diverse, la gente comune dava alla Resistenza.
Spesso si dice che la Costituzione è figlia della Resistenza non solo perché nata dopo la liberazione del nostro Paese dalla dittatura fascista e dal dominio dei nazitedeschi ma in particolare per le esperienze maturate dalle formazioni partigiane nelle così dette “zone libere”, molte delle quali si trasformarono in “repubbliche partigiane” che furono una ventina.
Nelle zone liberate venivano create leggi dove i sogni di democrazia venivano trasformati in vita vissuta a volte per periodi brevi altre volte per periodi assai più lunghi. L’esperienza maturata nelle repubbliche partigiane, durante il periodo della resistenza, diedero spunti ai padri costituenti nella formulazione dei vari articoli della nostra Costituzione.
Perché furono importanti queste esperienze verificatesi nell’estate-autunno del 1944? Perché diedero spunti istituzionali ai padri costituenti nella formulazione di vari articoli della Costituzione.
Alcune repubbliche durarono solo pochi mesi; altre, come la Carnia e l’Ossola, hanno avuto il tempo di esprimere una nuova classe dirigente e di sperimentare inedite forme istituzionali, con organismi democratici composti da civili scelti mediante libere elezioni o forme diverse secondo i casi (a volte si sceglievano i capifamiglia).
La loro durata temporale non ne diminuisce l’importanza storica e politica ma focalizza l’attenzione sulla vita politico-amministrativa, su quella economica, sociale e civile che, in quei luoghi, sperimentarono il significato della democrazia.
Durante lo svolgimento della lotta partigiana, accanto all’impegno bellico, il movimento di liberazione (CLNAI) ha espresso, in varie occasioni, la sua capacità organizzativa. Esse costituirono un’esperienza intensa e significativa e, soprattutto per chi era da sempre stato escluso da ogni partecipazione democratica, rappresentarono la speranza in un futuro di dignità e di libertà. Lo spirito delle scelte legislative, scaturite da quelle esperienze, fu recepito dagli estensori della Costituzione italiana.
Era l’eredità della Resistenza che entrava nella nostra Costituzione. L’esperienza delle così dette ‘zone libere’ o ‘repubbliche partigiane’ ne è l’esempio e l’indicazione precisa di quei valori umani, civili e politici necessari per una vita democratica. Bisogna riconoscere che tali esperienze possono considerarsi anticipazioni sociali e morali nella ricostruzione politica democratica del nostro Paese.
Una pagina importante l’ha scritta la repubblica dell’Ossola dove si ricostruirono l’amministrazione locale, i vari sindacati e altri settori di rilevanza nazionale proiettati nel futuro dell’Italia liberata.
Dalla vicina confederazione elvetica arrivarono in val d’Ossola numerosi fuoriusciti antifascisti, alcuni dei quali divennero poi membri dell’Assemblea Costituente, oltre che membri di governo e deputati della Repubblica italiana.
Le esperienze vissute come partigiani nelle zone libere o come esuli hanno condizionato il loro pensiero e il loro agire. Ecco come la Resistenza ha influenzato la stesura della nostra Costituzione.
Ero fermamente convinta che,con il nuovo corso politico, saremmo riusciti a rimuovere gli ostacoli che si potevano frapporre alla progettazione e alla realizzazione di quella società libera e democratica che in tanti avevamo immaginato e per la quale avevamo lottato. Purtroppo mancarono le leggi di attuazione che avrebbero dovuto accompagnare la nostra giovane costituzione nel percorso verso una democrazia non formale. Come ha osservato Valerio Onida in un suo articolo su Il Sole 24 ore “non comprendemmo e ancora oggi non comprendiamo che la Costituzione non è una qualsiasi legge che offre risposte mutevoli a problemi contingenti ma il testo che racchiude ed esprime le basi stesse della nostra convivenza civile e politica”.
Affinché la nostra convivenza non rimanga una affermazione di principio ci sono regole che si debbono conoscere e rispettare. A volte queste regole possono apparirci restrittive, obsolete, oppure contrarie al nostro modo di interpretare il dettame costituzionale, ma guai se ci lasciamo condurre dal nostro interesse personale ignorando il bene comune.
Ma quanta fatica affinché i principi costituzionali diventino patrimonio quotidiano di tutti gli italiani. Tra queste fatiche voglio ricordare il contributo della contestazione studentesca. I ragazzi avevano compreso che c’era uno scarto tra i diritti giuridicamente garantiti dalla Costituzione e quelli attuati e iniziarono a manifestare prima per una scuola moderna, democratica, svincolata dalle leggi del passato regime fascista, in seguito per i diritti civili, per quelli dei popoli, per la parità di genere, l’antifascismo, la pace, la giustizia, la verità sulle stragi. Il movimento giovanile fece riemergere in molti di noi che, pur a vario titolo avevamo partecipato alla Resistenza, i sogni di libertà, di democrazia, tanto che trovammo il coraggio di schierarci, di indignarci, di lottare assieme a loro.
In quel periodo molti furono i giovani che persero la vita durante manifestazioni per affermare i diritti costituzionali…tra questi anche mio figlio. Assurdo perdevo l’essenza stessa della mia vita nella repubblica, nata dalla Resistenza, per la quale anch’io avevo lottato. La giustizia penale non fu in grado di individuare e punire l’autore della sua uccisione, nonostante appartenesse alle forze dell’ordine; la giustizia civile riconobbe che era stato fatto un uso illecito delle armi da fuoco da parte della polizia e condannò il Ministero dell’Interno al pagamento ad una somma di denaro per risarcire il danno. Il risarcimento ci fu riconosciuto ma la verità di quella drammatica sera ostinatamente negata.
Il risarcimento ha costituito il patrimonio della Fondazione Roberto Franceschi che ricorda non solo la figura e gli ideali di Roberto ma è soprattutto uno strumento mediante il quale si vorrebbe promuovere e progettare nella scuola, di ogni ordine e grado, l’educazione ai diritti umani e a quelli costituzionali in maniera da formare giovani con una forte coscienza democratica.
Concludo con le parole di Piero Calamandrei:
“Il Parlamento consacra in forme legali i diritti del cittadino, la magistratura e la Corte costituzionale garantiscono questi diritti, ma la coscienza dei cittadini è creata dalla scuola; dalla scuola dipende come sarà domani il parlamento, come funzionerà la magistratura, cioè come sarà la coscienza e la competenza di quegli uomini che saranno domani i legislatori, i governanti e i giudici del nostro Paese.
La classe politica che domani detterà le leggi ed amministrerà la giustizia, esce dalla scuola; tale sarà quale la scuola sarà riuscita a formarla”.
Soggiungo io Potenza della scuola!!!
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