Grazie, anche io desideravo ringraziare la Fondazione Franceschi a cui sono legata da un’antica
collaborazione che precede di lunga data la mia nomina ad assessore. Ringrazio quindi la signora
Lydia per aver pensato a me per questa tavola rotonda, dandomi così l’opportunità di tornare in
Bocconi: mi sono laureata qui ma non rientravo in queste aule da un po’ di anni.
Ascoltando le relazioni di questa mattina, ma anche gli interventi di Carlo e di Simona e
rispondendo alla sollecitazione del nostro moderatore, mi è venuto in mente quando l’OCSE- credo
fosse proprio fine del 2008- pubblicò uno dei suoi periodici rapporti sul tema delle disuguaglianze
dal titolo “ Growing Unequal” L‘OCSE dimostrava come in quel periodo di crescita, riferito al
periodo precedente l’agosto 2008 – data simbolica di inizio della crisi – si evidenziasse nei paesi
osservati una crescita delle disuguaglianze, pur in presenza di crescita economica, cioè un Growing
Unequal, tra i paesi e dentro i paesi. Tra i vari commentatori del rapporto c’era chi si domandava: lo
scopo della crisi economica, che impatto avrà sulle disuguaglianze? Se la crescita è stata
accompagnata da un aumento delle disuguaglianze, quale sarà l’impatto della recessione o
comunque della crisi?
Ho appreso oggi che il titolo del rapporto più recente dell’OCSE è “Divided We Stand” e quindi lo
interpreto come un essere ancora divisi, un mancato effetto generale di riduzione delle
disuguaglianze in questi anni recenti di crisi, salvo che per alcuni paesi.
In realtà nel 2008 la conclusione del rapporto OCSE diceva: quello che succederà nel futuro
dipende dalle politiche, cioè dalle politiche pubbliche che i governi a livello nazionale,
sovranazionale, ma anche locale riusciranno a mettere in atto riportando così la centralità della
politica su alcuni processi.
Prima il nostro moderatore ci richiamava alla realtà milanese e alla contingenza dentro la quale noi
dobbiamo intervenire nel tentativo appunto di modificare l’esito di alcuni processi economici che
vanno nella direzione di un aumento delle disuguaglianze.
Io ritengo che siamo esposti ad una doppia sfida. La prima è quella che veniva descritta prima
introducendo la tavola rotonda e riguarda i processi di più lunga durata di terziarizzazione. La
trasformazione della dimensione dell’economia urbana cittadina ha visto negli ultimi decenni
trasformazioni molto profonde che hanno a che fare con la modificazione dei settori produttivi, la
fine delle grandi concentrazioni produttive, l’emergere di un terziario, in alcuni casi anche molto
competitivo, molto avanzato; l’inserimento di Milano in flussi globali, sia di ordine finanziario ma
anche di altro tipo. Tutto ciò ha già determinato sullo sfondo un quadro di grandi trasformazioni,
rispetto alle quali le politiche pubbliche fanno fatica ad aggiornarsi. Spesso si cita come elemento
problematico la caratterizzazione del nostro sistema di protezione sociale a livello nazionale che è
molto centrato su un modello produttivo che appartiene ad una fase precedente: questo è il quadro
che c’è sullo sfondo.
Si aggiunge il fatto che oggi ci troviamo ad operare in una situazione in cui la crisi pone nuove
sfide.
É vero che rispetto ad altre realtà nazionali la città di Milano comunque mostra indicatori un po’
migliori in termini di disoccupazione o tassi di occupazione. È anche vero però che negli ultimi anni
c’è stato uno scivolamento verso il basso rispetto ad altri contesti europei confrontabili con quello
milanese e lombardo. Ciò evidenzia che esiste l’emergenza della crisi ed è in atto una
trasformazione di fondo con la quale siamo costretti comunque a ragionare e a fare i conti e questo
ci riporta al tema, che veniva sollecitato prima, dell’osservazione. Le decisioni o le scelte politiche
infatti di solito si esercitano in base a una lettura della realtà e rispetto a ciò, come è stato già citato
esiste la difficoltà dell’utilizzo delle interpretazioni dei dati rispetto a questa realtà.
Noi proprio un paio di giorni fa abbiamo avviato il secondo step di un processo che abbiamo
chiamato” Rilevatore dei Segnali Deboli”, dove l’idea è quella di costruire un osservatorio presso il
Comune di Milano, gestito dall’Assessorato al lavoro, in cui possano convergere una serie di
elementi fattuali che non sono le statistiche di cui pure ovviamente ci avvaliamo e che fotografano
la situazione sempre un minuto dopo (i dati arrivano ex post), ma che sia un luogo in cui le nostre
antenne, che sono rappresentate da soggetti sociali ed economici di vario tipo (dalle associazioni
sindacali a quelle imprenditoriali, ma anche da quelle che praticano politiche sociali come il terzo
settore e il volontariato) possano in tempo reale avvalendosi dell’aiuto dei ricercatori dell’Università
Bicocca, aiutarci a ricostruire il quadro della complessità. Quindi non soltanto una rilevazione di
segnali forti come la statistica sulle forze di lavoro dell’ISTAT che arriva un anno dopo, ma uno
strumento che aiuti il policy making in tempo reale, attraverso una rilevazione di quelli che abbiamo
chiamato appunto “segnali deboli”, che racchiudono anche elementi anticipatori rispetto a quello
che succederà. Riteniamo infatti che da un certo tipo di osservazione della realtà, cioè dalla sua
lettura dipenda anche il tipo di intervento realizzabile in termini di politiche. In un contesto
difficoltoso come quello descritto, io credo che sia assolutamente necessario ragionare in termini di
coordinamento degli sforzi nella realizzazione degli interventi. Anche un ente come
un’amministrazione comunale che su molte materie non ha competenze legislative – che possono
invece avere per esempio le Regioni- offre una serie di servizi che hanno ricadute in termini di
possibile riduzione della povertà o delle disuguaglianze e quindi in una fase come questa tutti gli
interventi devono essere coordinati al massimo.
Una delle prime osservazioni che abbiamo fatto come amministrazione comunale entrante è stata la
estrema frammentazione degli interventi che l’amministrazione comunale metteva in atto tra le
diverse aree amministrative e i diversi assessorati. E’ come se ci fosse una difficoltà della macchina
amministrativa o della politica che la guidava a coordinare gli interventi e a parlarsi tra di loro.
Io invece credo che in un’epoca di risorse scarse, di crisi economica e di vincoli di bilancio che gli
enti locali hanno e che sono particolarmente stringenti, una delle necessità più impellenti sia il
coordinamento delle politiche e la selezione delle priorità. Evidentemente non si può fare tutto, e
quindi il tentativo di fare massa critica, di concentrare cioè anche diversi interventi sui soggetti che
si individuano come bisognosi di intervento pubblico, va incentivato. Solo la massa critica,come
ormai gli studi sulle politiche sociali dicono da tempo, può aiutare la persona, soggetto di politiche
ad uscire dalla condizione di bisogno. Questo è il quadro metodologico dentro il quale noi stiamo
lavorando, con uno strettissimo coordinamento tra l’Assessorato al lavoro di cui io sono
responsabile e l’Assessorato alle politiche sociali.
Pochi giorni fa, proprio l’Assessore alla Politiche sociali Majorino ha organizzato un forum sulle
politiche sociali al quale anch’ io ho preso parte. Ne ho gestito un pezzo, proprio con l’idea di
coinvolgere in un lavoro interassessorile le diverse competenze. In quella circostanza abbiamo
annunciato congiuntamente una serie di misure che l’Amministrazione sta mettendo in atto.
Da una parte sono misure di tipo tradizionale, emergenziale, di fronteggiamento alla situazione di
crisi e dall’altra invece preludono a quella che io ritengo essere la necessità di arricchire il catalogo
delle politiche pubbliche in termini anche lavoristici.
Tra gli strumenti nuovi penso alla Fondazione Welfare Ambrosiano, nata ormai qualche anno fa
mettendo insieme soggetti diversi: dai sindacati confederali, al Comune di Milano, alla Camera di
Commercio e alla Provincia di Milano, con l’obiettivo di ripensare in termini globali il welfare
cittadino, in un momento che era quello dell’inizio della crisi.
Questo strumento non è mai decollato, non è mai partito per molti anni. Non è mio compito dire se
per mancanza di volontà politica o per altre difficoltà.
Noi – e io in particolare, avendo ricevuto la delega ad occuparmi di questo oggetto – ci eravamo dati
come obiettivo dei primi cento giorni, la partenza di questa Fondazione e infatti i primi di ottobre la
Fondazione Welfare Ambrosiano ha cominciato la sua attività attraverso l’erogazione di
microcredito, che è uno dei suoi scopi statutari principali.
Le prime settimane di funzionamento di questa Fondazione ci stanno dando dei riscontri positivi.
La Fondazione eroga microcredito su due linee di finanziamento: la prima, che abbiamo chiamato
microcredito sociale, rappresenta un aiuto alla persona in temporaneo stato di bisogno (perdita del
lavoro, non rinnovo dei contratti). Nell’altra linea, più promozionale, il microcredito viene erogato
per intrapresa, cioè a coloro che vogliono aprire una partita Iva, un’azienda, investire sulla propria
formazione. I tassi sono molto differenti rispetto a quelli di mercato: il microcredito personale è
sul 4%, quello di impresa poco meno del 6% e la caratteristica per poter accedere al finanziamento
è quella di essere “non bancabili”: il credito è infatti destinato a persone che se si rivolgessero ai
canali tradizionali di credito non otterrebbero un finanziamento. I primi riscontri di questi quasi
due mesi di attività della Fondazione ci confermano da un lato situazioni di indebitamento grave. La
Fondazione- che opera anche attraverso una Convenzione con la Fondazione Antiusura lombarda spesso
si trova, più che ad erogare microcredito, ad aiutare le persone che si rivolgono per
ristrutturare il proprio debito. Si sono presentati sull’ordine di centinaia di casi di persone altamente
indebitate che si indebitano ulteriormente per far fronte alla restituzione del debito precedente.
La Fondazione accompagna queste persone da coloro che si occupano di usura oppure presso il
sistema bancario per aiutarle a ristrutturare il proprio debito.
Invece nei casi che riguardano più propriamente la richiesta di credito, abbiamo avuto una divisione
abbastanza equa tra chi si è rivolto alla Fondazione per ricevere un prestito personale per
temporaneo stato di bisogno ( non riescono a pagare la rata del mutuo per la casa o l’asilo nido per i
bambini) e chi invece intraprendeva, con una significativa presenza femminile, soprattutto in questa
ultima linea di finanziamento. La cosa concorda con la letteratura più tradizionale sul microcredito
e ci ha abbastanza rincuorato. È chiaro che uno strumento di questo tipo in mano ad un ente
pubblico è abbastanza inedito e io per prima lo presento, diciamo, in maniera abbastanza
problematica. Credo infatti che potremo valutarlo soltanto tra un anno, quando le persone che hanno
richiesto il credito cominceranno a restituirlo, poichè la convenzione che abbiamo posto in essere
con le banche prende un preammortamento di un anno. Chi riceve oggi il prestito comincerà a
restituirlo tra un anno. Sarà solo allora che riusciremo a capire come le persone a cui abbiamo
rivolto lo strumento avranno risposto e se effettivamente si tratta di uno strumento significativo e su
cui vale la pena continuare a investire.
Per concludere, secondo me tentativi come questi rappresentano lo sforzo di questa
amministrazione nel ripensare il catalogo di interventi che può offrire, in materia di politiche sociali
o di politiche per il lavoro, in questo caso abbastanza connesse. Anche se è difficile capire se si sta
realizzando una politica sociale o un intervento sul lavoro, io credo che, oltre a quella che prima
veniva chiamata la base della piramide, il compito di un ente locale in un’epoca di trasformazioni e
con l’idea di rinnovare il catalogo degli interventi possibili, proprio in una realtà complessa come
quella milanese, sia immaginare politiche pubbliche e politiche per il lavoro anche su altre fasce, su
altri target.
Abbiamo visto dai dati come anche figure tradizionalmente fuori dal rischio povertà, con alti tassi di
istruzione o di scolarizzazione, oggi siano a rischio. Per esempio sappiamo che nella città di Milano
gran parte delle professioni intellettuali, creative e cognitive non si trovano molto al di sopra della
soglia di povertà come retribuzioni. Se si pensa a tutto il mondo di chi fa ricerca nelle università,
magari prima di entrarci a tempo indeterminato, si scopre che ci sono categorie anche molto
scolarizzate che fanno fatica. Io credo che noi dovremmo pensare a strumenti di intervento anche
per queste figure.
Quando si pensa alle politiche per il lavoro di un ente locale, si pensa allo sportello che aiuta a fare
il curriculum o bene che vada fa un po’ di matching tra domanda e offerta. Di solito ci si limita ad
immaginare strumenti di questo tipo.
Io invece credo che noi dovremmo investire anche su altri strumenti che guardino alle giovani
generazioni altamente scolarizzate. Stiamo lavorando ad un progetto che si chiama Welcome
Talenti che ha proprio lo scopo di lavorare sulle fasce alte, in ragione del fatto che abbiamo scoperto
come gran parte dei talenti italiani che sono all’estero (in questo momento vengono stimati circa due
milioni di giovani italiani che lavorano all’estero) sono partiti da Milano, pur non essendo milanesi.
Ciò dimostra come Milano rappresenti una piattaforma di transito, in quanto qui i ragazzi vengono
a studiare o a lavorare e poi da Milano vanno via. Vorremmo provare a far diventare la città anche
una piattaforma di rientro. Altri progetti riguardano spazi di coworking o strumenti nuovi,
promozionali di lavoro per categorie differenti rispetto a quelle deboli.
Proprio perché l’intervento pubblico può decidere, fare la differenza sulla tendenza della
disuguaglianza o della povertà, è necessario intervenire arricchendo il catalogo delle politiche
possibili, anche a livello locale.
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