Art. 10
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.

Con gli artt. 10 e 11 la Costituzione guarda al resto del mondo.
Innanzitutto stabilisce che le regole universalmente riconosciute e accettate dagli Stati (per esempio l’immunità degli agenti diplomatici, che non possono essere processati) sono obbligatorie anche per l’Italia.
Inoltre, obbliga il Parlamento a regolare con una legge i diritti e doveri degli stranieri che si trovano nel nostro Paese, rispettando i trattati e le convenzioni (tra cui quelle in materia di diritti umani) firmati dall’Italia.
Naturalmente, anche agli stranieri viene riconosciuta «pari dignità», dato che essa consiste nel riconoscimento del valore di ogni essere umano in quanto tale (art. 3): devono dunque essere garantiti loro i diritti fondamentali, anzi, a quanti nel proprio Paese ne sono privi (perché vivono in una dittatura, in un contesto di guerra o di estrema povertà, in una società in cui la pari dignità delle persone non è riconosciuta, di diritto o di fatto) deve essere data la possibilità di vivere in Italia. Restano riservati ai cittadini i diritti “politici”, che derivano dall’appartenenza alla comunità italiana (si pensi al diritto di voto). Da tempo vi è chi propone di attribuire tali diritti a tutti coloro che risiedono stabilmente in Italia, a prescindere dal fatto che siano cittadini o stranieri, osservando che proprio il fatto di vivere in questo Paese dovrebbe comportare il diritto di partecipare alle decisioni sul suo governo.
Infine, non è possibile estradare (ossia consegnare) una persona a un Paese che la voglia processare per un reato politico (per esempio per aver scritto libri non graditi al Governo).

È possibile vietare agli stranieri residenti in Italia di lavorare come giornalisti, perché nel loro Paese questo divieto esiste per gli italiani?

Sent. Corte cost. 11/1968
È ragionevole che in tanto lo straniero sia ammesso ad un’attività lavorativa in quanto al cittadino italiano venga assicurata una pari possibilità nello Stato al quale il primo appartiene. Questa giustificazione, però, non può estendersi all’ipotesi dello straniero che sia cittadino di uno Stato che non garantisca l’effettivo esercizio delle libertà democratiche e, quindi, della più eminente manifestazione di queste. In tal caso, atteso che ad un regime siffatto può essere connaturale l’esclusione del non cittadino dalla professione giornalistica, il presupposto di reciprocità rischia di tradursi in una grave menomazione della libertà di quei soggetti ai quali la Costituzione – art. 10, terzo comma – ha voluto offrire asilo politico e che devono poter godere almeno in Italia di tutti quei fondamentali diritti democratici che non siano strettamente inerenti allo
status civitatis.

Il commento all’articolo è tratto dal libro “Una lettura guidata della Carta costituzionale”, a cura di Alessandro Basilico con la collaborazione di Gherardo Colombo, progettato e pubblicato dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus per le scuole e la cittadinanza.

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Leggi in anteprima il commento ai primi 12 articoli della Carta costituzionale: art. 1 | art. 2 | art. 3 | art. 4 | art. 5 | art. 6 | art. 7 | art. 8 | art. 9 | art. 10 | art. 11 | art. 12.