In una lezione pubblicata recentemente da TEDx, Sofia Viscardi spiega: “Un tempo la definizione di ciò che era culturalmente appropriato veniva dall’alto. Con internet questo è totalmente cambiato. Io ne sono un esempio lampante.” Sofia si autodefinisce con sarcasmo “un’influencer bionda”, ha ventidue anni e oltre un milione e quattrocento follower maturati in circa otto anni di attività su piattaforme come Youtube, Instagram e Facebook. Ragazzi e ragazze come Sofia vivono in un mondo dove non solo è aumentata esponenzialmente la quantità di informazioni a loro disposizione ma è anche aperta a chiunque la possibilità di produrla, condividendo la propria opinione con migliaia di persone. Circa un anno fa ci siamo chiesti se la scuola fornisse gli strumenti necessari a orientarsi in questa realtà. Abbiamo pensato che proporre un corso di ricerca sociale alle scuole superiori potesse permetterci di esplorare questa domanda sperimentando allo stesso tempo un nuovo approccio all’educazione alla cittadinanza.
Abbiamo avviato la prima edizione del progetto “Prendere la parola, con la ricerca sociale” all’inizio dell’anno scolastico appena concluso. Da quel momento fino alla sospensione della didattica in presenza per l’epidemia di COVID-19, noi e gli altri insegnanti del percorso, Valentina Rotondi e Giacomo Battiston,abbiamo passato una mattinata ogni due settimane con circa quaranta studenti e studentesse delle classi 3°D e 4°C dell’Istituto Tecnico Statale Artemisia Gentileschi, una scuola superiore di circa millecinquecento studenti alla periferia ovest di ovest di Milano, nel quartiere Gallaratese. Abbiamo condiviso con le classi un percorso didattico inedito, culminato nella predisposizione di quattro progetti di ricerca ambiziosi che cercano di dare risposte scientificamente rigorose a domande sulla società formulate da sedici-diciottenni. Questa esperienza suggerisce che l’insegnamento della ricerca sociale potrebbe offrire un utile complemento ai programmi della scuola superiore di oggi: una cassetta degli attrezzi preziosa per i cittadini e le cittadine di domani.
Perché insegnare ricerca sociale alle scuole superiori
Fare ricerca sociale significa primariamente porsi delle domande sulla realtà circostante e sui metodi per darsi delle risposte. Ci sono almeno tre motivi per cui provare a sporcarsi le mani in questo processo potrebbe tornare utile anche a chi non pensa di fare della ricerca sociale la propria professione.
Il primo di questi è lo sviluppo di spirito critico. Nella ricerca, curiosità e scetticismo hanno la meglio su ogni fatto dato per acquisito, ma lo scetticismo che viene promosso non è indiscriminato. Viene valorizzata la comunicazione precisa e trasparente dell’incertezza di ogni risultato, delle possibili fonti di errore e delle assunzioni necessarie perché un risultato possa insegnare qualcosa sulla realtà in cui viviamo. Assieme alla consapevolezza di questi limiti, la ricerca sociale insegna ausare la logica e l’immaginazione per provare a rispondere a grandi domande sulla società e la politica a partire da certezze circoscritte. Il confronto con questo approccio rappresenta un’opportunità per sviluppare competenze di cittadinanza come la capacità di valutare la solidità di un’argomentazione e di essere riflessivi rispetto alla propria esperienza diretta nel valutare la bontà di una proposta politica.
C’è un secondo motivo per cui un’esperienza di ricerca sociale potrebbe aiutare a formare cittadini e cittadine migliori. Sentiamo che il tempo speso a provare a comprendere la realtà che ci circonda attraverso strumenti tipici della ricerca sociale, dall’etnografia alla statistica, ci abbia aiutato non solo a saperci orientare meglio fra le opinioni altrui ma anche a capire come “dire la nostra” con cognizione di causa – a sentirci legittimati a prendere la parola quando pensiamo che serva. È per questo che pensiamo che promuovere l’insegnamento della ricerca sociale potrebbe aiutare a coltivare una cittadinanza attenta e attiva, capace di far valere la propria opinione nel momento in cui questo si riveli necessario.
Ma quale buona ragione può esserci per voler anticipare un percorso solitamente tipico degli anni universitari? Qui entra in gioco il terzo motivo che ci ha spinto a sviluppare questo corso. La nostra speranza è che imparare a destreggiarsi nelle tecniche della ricerca sociale possa far sentire ragazzi e ragazze più sicuri nel discutere del proprio mondo con autorevolezza, già dalle superiori. La generazione a cui apparteniamo è stata apostrofata con ogni tipo di stereotipo denigrante, a partire dal infelicemente celebre “bamboccioni” coniato dall’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa. Il gruppo degli odierni quindici-venticinquenni non si avvia a un destino migliore. E se il successo di movimenti come Fridays for Future così come la composizione delle piazze italiane di Black Lives Matter nelle ultime settimane lasciano presagire che alla cosiddetta generazione Z non manchi il desiderio di protagonismo politico,pensiamo che avere a disposizione qualche strumento in più non possa guastare.
Come abbiamo provato a farlo
Abbiamo progettato un percorso mirato a far sperimentare in prima persona tutte le fasi di una ricerca – a partire dalla formulazione di una domanda di ricerca, passando per la progettazione e la realizzazione della raccolta dati, per concludere con l’analisi e la condivisione pubblica dei risultati – mettendo la curiosità e creatività al centro. Abbiamo provato a trasformare le nostre lezioni in un ambiente orizzontale e non giudicante dove tutti e tutte potessero sentirsi liberi di esprimersi ed essere protagonisti, ad esempio, cercando di limitare al massimo l’utilizzo della lezione frontale in favore del lavoro in piccoli gruppi e di discussioni in plenaria seduti in cerchio, ribaltando il normale setting della lezione scolastica. Abbiamo strutturato il percorso in tre moduli.
Abbiamo incentrato il primo modulo sulla scoperta. Attraverso attività come la lettura di articoli, la proiezione di film e l’ascolto di inchieste radio abbiamo cercato di mostrare il valore e i limiti di approcci profondamente diversi – dall’economia sperimentale all’antropologia visuale – nel cercare di rispondere a una domanda proposta da noi ovvero quali processi diano origine alle diseguaglianze sociali. Abbiamo concluso il modulo con un’attività di ricerca collettiva guidata: una “passeggiata etnografica” nel quartiere della scuola, il Gallaratese,dove le classi hanno sperimentato in prima persona tecniche di rilevazione dati,come l’osservazione partecipante e l’intervista, coinvolgendo testimoni privilegiati come il presidente del Municipio di riferimento.
Abbiamo dedicato il secondo modulo alla progettazione e alla raccolta dati. Abbiamo accompagnato le classi nella scelta di quattro temi di ricerca, lasciando che si formassero spontaneamente gruppi legati agli interessi individuali e dato inizio a un laboratorio di progettazione, spingendo i gruppi a formulare domande di ricerca precise, a immaginare il tipo di evidenze necessarie a verificare le loro ipotesi e a inventarsi modi per ottenere i dati appropriati. Ogni gruppo ha concluso questo modulo realizzando un questionario e un protocollo di ricerca qualitativa sul campo.
Il percorso si è interrotto al momento di entrare nel vivo della ricerca, con questionari, tracce di intervista e griglie di osservazione pronti per essere utilizzati. Nel terzo modulo avremmo dovuto analizzare i dati raccolti, discuterli e preparare la loro condivisione durante un evento pubblico.
I quattro progetti di ricerca
I motivi per dispiacersi della fine anticipata del corso sono molteplici ma l’interruzione dei progetti di ricerca, riassunti brevemente a seguire, è sicuramente uno dei principali. Sono progetti che hanno poco da invidiare a quelli prodotti in ambito professionale, se non altro per rilevanza delle domande di ricerca e creatività metodologica.
Perché alcune persone mangiano sano e altre no? Confrontando i risultati di un questionario somministrato in una scuola superiore di periferia e una del centro il primo progetto indaga l’effetto dell’origine sociale nelle scelte alimentari esplorando il ruolo di meccanismi quali la disponibilità economica, l’offerta alimentare in diverse parti della città, la trasmissione socioculturale, e l’accesso all’informazione. Attraverso l’osservazione partecipante all’interno di fastfood, il progetto mira a investigare ulteriormente il ruolo dell’interazione sociale nel consumo del cosiddetto junk food con una domanda sullo sfondo: il fast food è anche un luogo di aggregazione e socialità per i giovani? E se sì, perché?
Perché molte persone adottano comportamenti sessuali a rischio? Il secondo progetto mira a investigare il ruolo dell’informazione e della percezione del comportamento dei pari nell’adozione di comportamenti sessuali a rischio. Paragonando le risposte a un questionario somministrato in una scuola del centro e in una scuola di periferia, la ricerca indaga le differenze nei comportamenti affettivi fra studenti e studentesse di origine sociale sociali diverse. Il progetto cerca inoltre di verificare la consapevolezza dei rischi e i motivi che spingono a correrli con interviste qualitative con un campione di coetanei su “la prima volta”, esplorando anche le differenti percezioni culturali e di genere.
Perché le persone giovani si interessano alla questione ambientale? Il terzo progetto si interroga sui fattori che hanno portato un numero crescente di ragazzi e ragazze a prendere coscienza sulla crisi ambientale e a mobilitarsi per contrastarla. Attraverso interviste in profondità il progetto ricostruisce il percorso di attivisti del movimento per il clima. Attraverso un test sperimentale inserito in un questionario somministrato in due scuole milanesi il progetto cerca di scoprire quale tipo di strategia comunicativa potrebbe aiutare ad incrementare ulteriormente la mobilitazione fra gli studenti e le studentesse milanesi.
Le persone adulte hanno pregiudizi nei confronti dei giovani? Il quarto progetto cerca di testare sperimentalmente la percezione,diffusa fra gli studenti e le studentesse partecipanti al corso, che le persone adulte valutino l’opinione dei giovani meno di quella degli adulti ingiustificatamente. Il progetto verifica questa ipotesi chiedendo a un campione di adulti quanto siano d’accordo con una serie di affermazioni di persone fittizie, la cui età e sesso viene modificata casualmente. L’indagine è ulteriormente approfondita con dialoghi tra giovani e adulti sulle rispettive esperienze, sui ricordi di gioventù, sul proprio rapporto con i figli e i giovani.
Cosa abbiamo scoperto
Anche se non abbiamo avuto l’opportunità di conoscere la risposta a queste domande, il percorso condiviso ha sicuramente portato a delle scoperte.
La prima è che insegnare ricerca sociale alle scuole superiori si può. Abbiamo iniziato questo corso con entusiasmo ma anche preparati all’idea che il tentativo avrebbe potuto facilmente rivelarsi un fallimento. Normalmente, si inizia a fare ricerca dopo lunghi anni di studio spesi ad apprendere le basi teoriche e metodologiche. Quest’esperienza ci ha confermato che insegnare un curriculum essenziale, mirato a trasmettere le intuizioni fondamentali del processo, può portare un gruppo di studenti delle scuole superiori a comprendere e mettere in praticale principali tecniche di ricerca sociale con creatività e interesse.
Una domanda che rimane aperta è se imparare le basi della ricerca sociale abbia un effetto positivo sulla capacità e la partecipazione civica. Quello che abbiamo potuto verificare con soddisfazione è che le intuizioni alla base della ricerca sociale possono essere applicate trasformando in progetti di ricerca empirica le domande e le impressioni sulla società che ciascuno formula spontaneamente. Il cambiamento che abbiamo osservato nei ragazzi e nelle ragazze che hanno preso parte al corso lascia supporre che un percorso di questo tipo possa avere ricadute positive nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza, stimolando un atteggiamento consapevole e attivo verso la realtà sociale che li circonda.
Infine, abbiamo scoperto che l’insegnamento della ricerca sociale alle scuole superiori potrebbe essere utile non solo agli studenti ma anche per chi, come noi, si ritrova a insegnarla. Si dice: “Se vuoi imparare qualcosa insegnala”. Ai nostri colleghi nel mondo della ricerca e dell’università vorremmo dire: “Prova a insegnarla alle superiori”. Dover spiegare concetti che adoperiamo tutti i giorni senza poter eccedere in gerghi, formule e riferimenti bibliografici a noi cari è stata una sfida che, pensiamo, ci ha reso più forti e sicuri nella nostra professione. Allo stesso tempo, l’immersione in un mondo lasciato anni fa e ormai quasi dimenticato è stata ricca di stimoli, un’esperienza di ricerca e un’opportunità di impegno civile.
Idee per la scuola domani
L’epidemia e la didattica a distanza hanno aperto un dibattito sul futuro della scuola. Un rischio è che questo dibattito si limiti ad affrontare gli aspetti tecnici della gestione del rientro, come il numero di docenti per classe, il ruolo della tecnologia, la garanzia del mantenimento delle distanze. Ci piacerebbe che questo momento venisse colto anche come un’opportunità per discutere dei contenuti e delle modalità di insegnamento della scuola di oggi. Durante i sei mesi di lavoro a fianco dei docenti e degli studenti ci è sembrato che il nostro corso colmasse un vuoto, garantendo un’opportunità di confronto tra pari su tematiche poco affrontate all’interno delle mura scolastiche. Quest’esperienza potrebbe anche offrire una prospettiva innovativa rispetto al ruolo sociale della ricerca.
La ricerca sociale al servizio dell’educazione secondaria
All’inizio del corso, la ricerca sociale era un’assoluta novità per la grande maggioranza delle nostre classi. Certo, avremmo dovuto ricordarcene. Al momento di decidere se frequentare l’università, l’idea che una disciplina del genere potesse essere una carriera percorribile non aveva attraversato la nostra immaginazione. A scuola, il metodo scientifico viene associato alla fisica, alla biologia e alla chimica. Che i comportamenti sociali e politici possano essere studiati con metodo viene menzionato nei programmi di storia e filosofia, ma raramente applicato in alcun modo. La nostra sperimentazione indica non solo che questa disciplina è adattabile al contesto formativo della scuola superiore ma che potrebbe offrire un complemento importante ai programmi scolastici. Da un lato, lo studio della ricerca sociale fornisce un apparato di strumenti stimolanti e interattivi per comprendere la realtà e rielaborare molti dei contenuti appresi nelle altre materie. Dall’altro, l’interazione con giovani ricercatori può rivelarsi uno strumento capace di far emergere aspirazioni e desideri in un contesto in cui carriere come quella universitaria non rientrano fra gli scenari considerati possibili.
L’insegnamento alle scuole superiori come opportunità per l’università e la ricerca
Negli ultimi anni si è consolidata l’idea che l’università debba non solo essere un luogo di alta formazione e ricerca ma anche interagire con la società esterna, divenendo soggetto promotore di cultura e conoscenza presso la società civile e contribuendo allo sviluppo sociale, economico e culturale del territorio, un obiettivo che viene chiamato Terza Missione. Il coinvolgimento di giovani ricercatori e ricercatrici nell’insegnamento della ricerca sociale alle scuole superiori con gli obiettivi discussi sin qui offre un’opportunità concreta per realizzare questa missione, costruendo percorsi di riflessione sulla società contemporanea che siano aperti, plurali e dialogici – un ritorno della ricerca accademica nella società che apre a nuove e inaspettate direzioni di indagine.
L’insegnamento della ricerca sociale alle scuole superiori ha la potenzialità di diventare una“palestra di cittadinanza” – uno strumento efficace per permettere a studenti e studentesse di confrontarsi con i rischi e le opportunità della società contemporanea e un’opportunità per ricercatori e ricercatrici di immergersi in una realtà diversa dando il proprio contribuito alla formazione altrui. L’approccio che abbiamo sperimentato, opportunamente strutturato per essere replicato su larga scala, potrebbe offrire una prospettiva intorno a cui ricostruire una politica di alleanza tra la scuola e la società. Da quest’alleanza, speriamo di vedere uscire tante cittadine e tanti cittadini in ricerca.
Il progetto “Prendere la parola, con la ricerca sociale” è stato sviluppato per iniziativa della Fondazione Roberto Franceschi Onlus con il patrocinio di Fondazione Cariplo e il supporto del corpo docente dell’I.T.S.T. Artemisia Gentileschi.
Valentina Rotondi (University of Oxford) e Giacomo Battiston (Università Bocconi), membri del Network Roberto Franceschi, hanno partecipato al progetto in qualità di docenti.
Autori
Simone Cremaschi
ha conseguito il Ph.D. in Scienze Politiche e Sociali presso l’Istituto Universitario Europeo, è assegnista di Ricerca presso il Centro di Ricerca Dondena dell’Università Bocconi e membro del Network Roberto Franceschi e del Comitato Scientifico della Fondazione.
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