Così non si sconfigge il caporalato – Simone Cremaschi

Simone Cremaschi

La (temporanea) regolarizzazione dei lavoratori agricoli immigrati a seguito del decreto rilancio avrà effetti limitati nella cosiddetta lotta al caporalato, contrariamente alle dichiarazioni del governo. Il commento di Simone Cremaschi (Network Roberto Franceschi), che nel suo dottorato ha studiato i ghetti dei braccianti africani in Italia

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e la Ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova hanno presentato la concessione di permessi di soggiorno temporanei ai lavoratori agricoli privi di documenti come un passo importante nella cosiddetta lotta al caporalato. La tesi di Ph.D. che ho da poco discusso all’Istituto Universitario Europeo suggerisce che questa misura avrà effetti limitati sulle dinamiche di intermediazione illecita della manodopera

Il termine caporalato viene spesso utilizzato per indicare emblematicamente ogni forma di ingiusto e illegale sfruttamento dei lavoratori agricoli. In realtà questo termine indica un fenomeno specifico, ovvero l’intermediazione fra datore di lavoro e lavoratore da parte di un agente non legalmente riconosciuto. È noto come il reclutamento tramite caporali sia spesso legato ad abusi sul lavoratore. Meno noto è invece il fatto che l’azione dei caporali non è legata all’impiego di lavoratori sprovvisti di permesso di soggiorno.

I caporali ricoprivano un ruolo cruciale nel reclutamento dei braccianti già nella seconda metà dell’Ottocento.Circa un secolo prima che l’Italia diventasse meta di migrazioni internazionali i caporali si occupavano di organizzare il reclutamento di braccianti italiani provenienti da diverse provincie. Tutt’oggi, i caporali sono il principale canale di collocamento, trasporto, e organizzazione della manodopera agricola in molte aree del nostro paese, a prescindere dallo status legale di quest’ultima.

Nei ghetti dei braccianti africani del Foggiano, l’avere il permesso di un soggiorno è spesso una precondizione per poter lavorare tramite un caporale. I dati di un’inchiesta campionaria raccolta grazie ai fondi della Fondazione Roberto Franceschi nei ghetti di cinque provincie italiane mostrano che coloro che ne sono sprovvisti sono spesso quelli che più si industriano a cercare lavoro direttamente presso un datore di lavoro. Gli stessi dati mostrano anche che, a prescindere che il lavoro sia stato trovato tramite un caporale o senza, la stragrande maggioranza dei braccianti dei ghetti è assunta senza regolare contratto. Paradossalmente, l’accesso al permesso di soggiorno potrebbe spingere chi prima cercava lavoro da solo a cercarlo tramite i caporali, che rappresentano una delle poche agenzie capaci di offrire contatti con datori di lavoro, trasporto, e protezione dalle truffe a chi cerca lavoro come bracciante in questi territori.

Il provvedimento adottato dal governo è un risultato politico in cui pochi avrebbero sperato fino a qualche mese fa. Nonostante i molti limiti della misura, l’accesso a permessi di soggiorno temporanei potrebbe essere un’opportunità di migliorare la propria condizione per molti e molte, magari consentendogli di trovare lavoro in settori meglio tutelati di quello agricolo. Ma per ridurre il potere dei caporali sui lavoratori e contrastare gli abusi bisogna affrontare alcune problematiche strutturali del nostro mercato del lavoro. Nel settore agricolo, questo implica organizzare canali legali di reclutamento, collocamento e trasporto nonché garantire la tutela contrattuale dei braccianti. Per sconfiggere lo sfruttamento bisogna offrire un’alternativa alla pratica del caporalato o avere il coraggio d’intervenire a regolamentarla trasformandola in una forma d’intermediazione che si svolga entro i confini della legalità rispettando i diritti dei lavoratori.

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