Mariapia Mendola è ricercatrice presso il Dipartimento di Economia Politica dell’Università di Milano Bicocca e membro del Coordination Committee del Centro Studi Luca d’Agliano. Dopo aver conseguito la laurea in Discipline Economiche e Sociali presso l’Università Bocconi, ha studiato economia dello sviluppo alla University of Sussex in Gran Bretagna, all’Università degli Studi di Milano, dove ha conseguito il Dottorato, e alla New York University negli Stati Uniti. Ha esperienze lavorative in numerosi paesi in via di sviluppo quali Perù, Venezuela, Uruguay, Bosnia-Herzegovina, Malawi, Mozambico ed infine Sud-Africa, dove ha svolto attività di ricerca e di cooperazione internazionale non-governativa. E’ stata o è consulente di istituzioni internazionali quali la Banca Mondiale, la Fao, l’Eclac, la Commissione Europea, il Consiglio Nazionale delle Ricerche del Sud Africa e il Governo del Malawi. I suoi studi, pubblicati su numerose riviste accademiche internazionali, si concentrano su aspetti dell’economia del benessere nei paesi in via di sviluppo e sulle implicazioni socio-economiche delle migrazioni internazionali. Nel 2000 è stata la vincitrice del premio di Laurea Roberto Franceschi con la tesi intitolata “La relazione tra crescita e distribuzione del reddito in Cile”.
L’intervento ha l’obiettivo di esaminare il fenomeno delle migrazioni dal punto di vista dei paesi di provenienza. Chi sono e da dove vengono gli immigrati? Quali sono le conseguenze della loro decisione di emigrare sulle famiglie di origine? Nell’era della globalizzazione l’emigrazione costituisce uno dei fenomeni sociali più dinamici che interessa in modo complementare paesi ‘ricchi’ e paesi in via di sviluppo. Gran parte degli immigrati che vivono nei paesi avanzati proviene da paesi poveri del sud del mondo ma, al tempo stesso, coloro che emigrano sono spesso la parte più motivata e qualificata della popolazione di provenienza, con importanti implicazioni sociali ed economiche sui paesi di origine. L’emigrazione, più di altre forme di aiuto, contribuisce a generare reddito e sviluppo nei paesi poveri principalmente attraverso le rimesse che gli emigrati spediscono alle proprie famiglie e attraverso il potenziale ritorno degli emigrati stessi. E’ stato stimato che le rimesse totali dei migranti ai paesi in via di sviluppo sono di molto superiori al livello totale degli aiuti ufficiali allo sviluppo, più stabili dei flussi in entrata di capitali finanziari internazionali e, a differenza di altri flussi di capitali, arrivano direttamente alle famiglie. Numerose ricerche hanno mostrato che l’emigrazione e le rimesse consentono alla famiglie nei paesi di origine di accrescere il proprio reddito, di accedere a migliori condizioni abitative e a maggiori opportunità produttive, ma anche di investire di più nel capitale umano (istruzione e salute) delle generazioni più giovani, con importanti ricadute in termini di benessere e crescita per interi paesi.
Studi recenti, inoltre, mostrano come l’emigrazione di un membro della famiglia costituisca una forma di ‘assicurazione’ per la famiglia nel paese di provenienza, garantendo a quest’ultima l’accesso a un flusso di reddito stabile e indipendente da quello locale. Poiché la vita in molti paesi in via di sviluppo è fortemente soggetta a rischi e incertezze per i quali non esiste alcune forma di assicurazione (perdita del raccolto, malattie, disastri naturali, conflitti), il fatto di avere un familiare che lavora lontano da casa può costituire un importante fattore per la sopravvivenza.
Il fenomeno dell’emigrazione tuttavia non è privo di costi sociali ed economici per i paesi di origine: in primo luogo i costi finanziari della migrazione internazionale che, insieme alle politiche migratorie restrittive nei paesi di destinazione, impediscono soprattutto ai più poveri e bisognosi di partire, o li espongono a condizioni incerte e rischiose quando decidono comunque di emigrare (migrazione illegale, tratta di essere umani, soprattutto di donne). Inoltre, molti studiosi hanno messo in evidenza come l’emigrazione dei più motivati e qualificati possa avere un effetto negativo sui paesi di origine attraverso la perdita di capitale umano (il cosiddetto fenomeno del ‘brain drain’ o fuga dei cervelli).
Nonostante l’emigrazione possa rappresentare un forte motore per la crescita economica e la riduzione dei divari fra paesi ricchi e paesi in via sviluppo, le conclusioni delle più recenti ricerche sono ancora contrastanti e lontane dal raggiungere un accordo, in quanto quello che è difficile stimare è l’effetto netto dell’emigrazione: da una parte la perdita del capitale umano che emigra ma dall’altra l’effetto positivo dato dall’incentivo a studiare che l’emigrazione potrebbe avere nei giovani in questi paesi – quindi un potenziale incremento del tasso di istruzione – e in ultimo l’effetto positivo delle rimesse, dei flussi di conoscenza e del ritorno dei migranti su potenziali investimenti produttivi nei paesi di origine.
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